lunedì 29 settembre 2014

Nasce l'agenda digitale condivisa sul diabete - diretta web


10:51 08 SET 2014


(AGI) - Roma, 8 set. - Cibo, per molti croce e delizia. Ma alimentazione vuol dire anche prevenzione, soprattutto quando si parla di patologie come il diabete. Se ne discute questa mattina in diretta web per #5azioni, la conversazione online lanciata da Sanofi per stilare la prima agenda digitale condivisa sul diabete. Cinque azioni necessarie per prevenire e gestire adeguatamente il diabete che saranno presentate alle istituzioni a novembre durante la Giornata Mondiale del Diabete.

Piu' della meta' dei 3 milioni di diabetici presenti in Italia soffre di sovrappeso o di obesità, gravi fattori di rischio per lo sviluppo di complicanze metaboliche e cardiovascolari. In live streaming alle 11.45 da Bologna, durante le giornate del Salone internazionale del biologico e del naturale, medici, esperti e foodblogger presentano "La ricetta della prevenzione". Tra gli altri: Rita Stara Presidente Federazione Diabete Emilia Romagna, Giulio Marchesini Reggiani responsabile dipartimento di Malattie del Metabolismo e Dietetica all'ospedale Sant'Orsola di Bologna, Giuseppe Capano chef diabetologo autore di un ricettario sul diabete, Barbara Asprea giornalista specializzata in alimentazione e dietista, Lorenza Dadduzzio e Flavia Giordano fondatrici di Cucina Mancina.
  Intervengono: Roberto Vettor, Direttore della Clinica Medica 3 - Dipartimento di Scienze Mediche e Chirurgiche dell'Universita' di Padova, Claudio Maffeis Direttore Unita' Operativa Complessa di Diabetologia, Nutrizione clinica ed Obesita' in eta' pediatrica ULSS 20 in convenzione con Universita' di Verona e Rosanna Lambertucci direttrice di Piu' Sani Pii' Belli.

venerdì 26 settembre 2014

Diabete e obesità. Ecco tutte le novità terapeutiche in arrivo nei prossimi anni

Dalle insuline inalatorie e in cerotto, agli analoghi del GLP-1 orali, agli anticorpi ‘attivanti’ il recettore dell’insulina per il diabete; dalla liraglutide alla lorcaserina per l’obesità. Si prepara la carica delle nuove terapie per contrastare la pandemia di ‘diabesità’, presentate al congresso dell’American Diabetes Association (ADA) appena concluso a San Francisco.

20 GIU - Insulina inalatoria. Ci si prova da anni a mettere a punto un’insulina da somministrare per via inalatoria, anziché sottocutanea; ma tutti i tentativi passati sono falliti perché esponevano al rischio di complicanze polmonari. Ma adesso ci si riprova. Al congresso dell’American Diabetes Association (ADA) sono stati presentati due studi, richiesti dall’FDA, per l’approvazione di una nuova insulina inalatoria (Technosphere Insulin Inhalation Powder). Il primo di questi ha dimostrato che l’insulina inalatoria dà un minor numero di crisi ipoglicemiche e di aumento ponderale, rispetto a quella somministrata per via tradizionale, senza provocare complicanze polmonari. In un secondo studio, un gruppo di pazienti con diabete scompensato, mai trattati in precedenza con insulina, sono stati randomizzati a insulina inalatoria o a placebo; il gruppo trattato ha mostrato un miglior compenso glicemico, al prezzo di un minimo incremento ponderale. Gli episodi di ipoglicemia, sebbene maggiori nel gruppo trattato, sono stati relativamente scarsi. La decisione dell’FDA circa l’autorizzazione al commercio di questa nuova insulina è attesa per il prossimo luglio.

Insulina in cerotto. Un’ulteriore alternativa all’insulina iniettabile, in fase di studio è il cosiddetto ‘cerotto’. Topicon è una nuova piattaforma tecnologica, progettata per consentire un rilascio transdermico passivo di insulina (determir e glargine liofilizzate), attraverso un cerotto Thermomatrix. In uno studio in vitro, un gruppo di ricercatori americani ha dimostrato che le formulazioni Topicon a base di analogo lento dell’insulina, passavano dallo stato solido (a 25°) ad uno stato gelatinoso (a 32°, la temperatura della pelle), consentendo un assorbimento graduale e costante di insulina per via transdermica, per sette giorni. Sono attesi a breve gli studi di validazione su modello suino, con analoghi rapidi dell’insulina.

Insuline orali. A metà strada tra un’insulina orale e un cerotto, all’ADA è stato presentato uno studio di fase I che prevedeva la somministrazione di insulina attraverso una striscia, da applicare sulla mucosa orale, che rilascia gradualmente insulina, legata a nanoparticelle inerti. La sperimentazione sull’insulina transorale ha dato risultati promettenti, determinando un rapido assorbimento e una buona bioattività della stessa. Molti sono gli studi in corso mirati alla messa a punto di formulazioni di insulina per via orale. L’ORMD-0801 è un programma di studi sperimentali che utilizza la tecnologia POD, con supporto antiproteolitico e fattori di facilitazione dell’assorbimento, per consentire la somministrazione di insulina per via orale e il suo assorbimento attraverso il tratto gastrointestinale. L’ORMD-0801 ha dimostrato la possibilità di ottenere un buon controllo metabolico sia nel diabete di tipo 1 che 2; è al momento in corso un vasto programma di trial clinici, mentre si continuano ad sperimentare migliorie tecnologiche, quali l’aggiunta di particolari surfactant all’insulina orale.

Le premiscelate del terzo millennio. Al congresso di San Francisco è stata presentata una metanalisipost hoc che dimostra come gli adulti con diabete di tipo 2, che raggiungevano un target di emoglobina glicata inferiore a 7%, presentino un rischio di ipoglicemia nettamente inferiore con la nuova premiscelata Ryzodeg, rispetto a quelli in trattamento con l’insulina bifasica aspart 30. La metanalisi ha confrontato i tassi di ipoglicemia nei due gruppi di trattamento, al termine del programma dei sei studi BOOST, che hanno avuto una durata di 26 settimane e hanno coinvolto oltre duemila persone, in 30 nazioni. Il rischio di ipoglicemia complessiva e notturna è risultato rispettivamente inferiore del 30% e del 66% nei soggetti trattati con la nuova premiscelata, rispetto a quelli in trattamento con aspart bifasica. I soggetti trattati con Ryzodeg inoltre presentavano una maggiore riduzione dell’insulina a digiuno, rispetto ai trattati con aspart bifasica (-54,8 mg/dl contro -38 mg/dl); infine le unità di insulina giornaliere medie impiegate al termine dello studio sono risultate inferiori nel gruppo Ryzodeg, che nel gruppo aspart bifasica (rispettivamente 0,9 U/Kg, contro 1,1 U/Kg). Ryzodeg è la prima associazione al mondo, in un’unica penna, di due analoghi dell’insulina, l’ultralenta degludec e la rapida aspart, in rapporto 70/30. È già stata approvata in Europa e in diversi altri Paesi del mondo.

Le nuove associazioni insulina-GLP 1 analogo. Due in uno nella stessa penna. Ci si prova con IDegLira, una combinazione di insulina degludec e liraglutide (un GLP1 analogo) che prevede una singola iniezione al giorno, per il trattamento del diabete di tipo 2. I risultati dell’estensione di 26 settimane dello studio DUAL, presentati al congresso dell’American Diabetes Association confermano l’efficacia e la sicurezza di questa associazione precostituita. A 52 settimane, IDegLira ha dimostrato una persistente e statisticamente significativa riduzione dell’emoglobina glicata di 1,8 punti percentuali, rispetto ai valori basali, in una popolazione di adulti con diabete di tipo 2, non trattati in precedenza con insulina. I valori medi di emoglobina glicata al termine dello studio sono stati 6,4% con IDegLira, 6,9% con l’insulina degludec e 7,1% con liraglutide. Ben il 78% dei soggetti in trattamento con IDegLira ha raggiunto il target di emoglobina glicata inferiore al 7%, contro il 63% di quelli trattati con degludec e il 57% di quelli in terapia con liraglutide. I soggetti trattati con IDegLira, al termine dello studio presentavano un calo ponderale medio di  0,4 Kg, mentre quelli in trattamento con insulina mostravano un aumento di peso di 2,3 Kg; al contrario, i soggetti trattati con liraglutide presentavano un calo ponderale di 3 Kg. Il tasso di ipoglicemie nei soggetti trattati con IDegLira infine è stato del 37% inferiore rispetto ai soggetti trattati con degludec; quelli del gruppo liraglutide, mostravano i tassi più bassi in assoluto. “Mantenere il compenso glicemico, man mano che il diabete progredisce – commenta il professor John Buse, University of North Carolina School of Medicine, Chapel Hill, North Carolina (USA) – è un problema, visto che i pazienti hanno timore di iniziare nuovi trattamenti che possono comportare il rischio di effetti indesiderati, quali l’aumento del peso o l’ipoglicemia. I risultati degli studi con IDegLira presentati al congresso dell’ADA indicano tuttavia che questo trattamento può fugare queste preoccupazioni”.

L’analogo del GLP1 orale. Sono allo studio formulazioni orali anche per gli analoghi del GLP 1. Molti i benefici teorici di questa nuova formulazione: posologia facilitata, rilascio più fisiologico sul sito d’azione, riduzione degli effetti indesiderati gastro-intestinali. Il nuovo farmaco sperimentale della TransTech Pharma, per ora definito dalla sigla TTP273, ha dimostrato una buona efficacia sia in monosomministrazione serale, che nei regimi a due somministrazioni al giorno. Oltre ad una sensibile riduzione della glicemia, il nuovo farmaco orale ha prodotto una riduzione dei valori pressori (sia diastolici che sistolici) e dei trigliceridi. Il TTP054 è una seconda molecola, messa a punto dalla di TransTech Pharma, nell’ambito del suo programma di sviluppo di agonisti recettoriali del GLP-1; anche TTP054 è un agonista non-peptidico del recettore per il GLP-1 sulle cellule pancreatiche, che si è dimostrato efficace in somministrazione orale per il trattamento del diabete di tipo 2. E’ al momento in valutazione in studi di dose-finding.

Un anticorpo monoclonale anti-diabete. Un’azienda biotech californiana, la XOMA, sta sperimentando un approccio del tutto innovativo al trattamento del diabete. Si tratta di un anticorpo monoclonale che si lega al recettore per l’insulina, modulandone l’azione. Nelle intenzioni degli sperimentatori, questo farmaco dovrebbe essere somministrato sottocute una volta alla settimana per garantire un’insulinizzazione basale, senza il rischio di crisi ipoglicemiche. IL farmaco è stato finora sperimentato su primati, con buoni risultati; sono attesi a breve i primi studi nel’uomo.

Le performance anti-diabete del farmaco anti-obesità.La lorcaserina è un nuovo farmaco, approvato dall’FDA come terapia anti-obesità, in aggiunta ad una dieta ipocalorica e ad un programma di esercizio fisico, per la gestione a lungo termine dei soggetti obesi o in sovrappeso; il farmaco non è stato approvato dall’EMA, che non ha ritenuto soddisfacente il suo profilo di sicurezza. Lorcaserina è un agonista selettivo del recettore 2c della serotonina (5HT2c) che causa un aumento del senso di sazietà dopo il pasto e una riduzione del senso di fame; questi effetti provocano una minor assunzione di cibo e quindi un calo ponderale. Una riduzione anche modesta del peso, intorno al 5%, può migliorare il compenso glicemico e ridurre il rischio di diabete. Un’analisi post hoc, presentata all’ADA, ha valutato la progressione dalla condizione di prediabete a quella di diabete, nell’arco di un anno di terapia con lorcaserina, confrontata con il placebo; i dati esaminati provenivano dai trial BLOOM/BLOSSOM, condotti su una popolazione di soggetti obesi (BMI 30-45), non diabetici e con almeno una condizione comorbile, associata all’obesità. Il trattamento con lorcaserina ha prodotto un maggior calo ponderale, che nel gruppo di controllo e una minore progressione verso una condizione di diabete; nell’arco dell’anno di durata dello studio, hanno sviluppato diabete il 2% dei soggetti trattati con lorcaserina, contro il 3% del gruppo placebo.

Liraglutide: l’anti-obesità 3.0 Il programma di studi LEAD ne ha ampiamente dimostrata l’efficacia come antidiabetico. Adesso, tocca ai trial del programma SCALE (Satiety and Clinical Adiposity –LiraglutideEvidence) dimostrare che questo analogo del GLP-1, prodotto dalla danese Novo Nordisk, è efficace anche come farmaco anti-obesità negli adulti in sovrappeso/obesi e affetti da diabete mellito di tipo 2. La posologia per questo nuovo campo di applicazione è superiore a quella utilizzata in clinica nel diabete (3,0 mg/die contro gli 1,8 mg/die tradizionali). I risultati a  56 settimane dello studio di fase 3a SCALE Diabetes, condotto su 846 pazienti e presentati al congresso dell’American Diabetes Association,evidenziano che liraglutide 3 mg/die ha comportato una riduzione di peso del 5,9% rispetto ai valori iniziali, contro il -4,6% di liraglutide 1,8 mg/dl e il 2% del placebo. Ben il 22% dei trattati con liraglutide 3 mg/die ha ottenuto con questo trattamento un calo ponderale superiore al 10% dei valori basali, al termine delle 56 settimane dello studio. Oltre al calo ponderale, liraglutide 3,0 mg ha prodotto anche una riduzione di 1,3 punti percentuali di emoglobina glicata e oltre il 70% dei trattati ha raggiunto il target di emoglobina glicata inferiore a 7%.  Sulla base dei risultati del programma di studi SCALE, è stata avanzata da mesi una richiesta di New Drug Application (NDA) e una di Marketing Authorization Application (MAA) sia all’FDA, che all’EMA per l’impiego di liraglutide come terapia per la gestione cronica del peso negli adulti obesi o in sovrappeso (con BMI ≥ 27) e con diabete di tipo 2.

Maria Rita Montebelli


giovedì 18 settembre 2014

Diabete: e se la cura venisse dall'intestino?

Ricercatori della Columbia University hanno trovato il modo di far produrre insulina a cellule gastrointestinali umane
Nelle persone che soffrono di diabete di tipo 1, le cellule del corpo che producono naturalmente insulina vengono distrutte dal sistema immunitario. Oggi è possibile ricostruire le cellule pancreatiche in laboratorio, a partire da cellule staminali, ma le cellule così ottenute che non hanno ancora tutte le funzioni di quelle che si cerca di sostituire. Ora un lavoro pubblicato suNature Communications rivela che potrebbe esserci un'altra via, grazie alla modificazione genetica.
I ricercatori del Naomi Berrie Diabetes Center della Columbia University di New York sono riusciti a riconvertire cellule gastrointestinali umane in cellule in grado di produrre insulina e per ottenere questo risultato hanno silenziato un solo gene. "Si è parlato a lungo della possibilità di trasformare una cellula in un'altra", spiega Domenico Accili, autore anziano dello studio, "ma fino ad ora non eravamo mai arrivati al punto di creare una cellula produttrice di insulina completamente funzionante grazie alla manipolazione di un singolo bersaglio".
Disattivando il gene FOXO1, Accili e colleghi sono riusciti a insegnare alle cellule intestinali umane a produrre insulina come risposta alle mutate circostanze fisiologiche. Quello che studi precedenti svolti dal laboratorio di Accili avevano dimostrato esserepossibile sui topi, ora ha funzionato anche con le cellule umane. Gli autori hanno prima di tutto creato un modello di tessuto dell'intestino umano con cellule staminali umane pluripotenti. Grazie all'ingegneria genetica, hanno poi disattivato tutti i FOXO1 operanti all'interno delle cellule intestinali. Dopo sette giorni alcune delle cellule hanno iniziato a rilasciare insulina e, fatto di estrema importanza, solo in risposta al glucosio.

Gli studi precedenti svolti sui topi, i cui risultati erano stati pubblicati nel 2012 su Nature Genetics, avevano dimostrato che l'insulina così prodotta veniva rilasciata nel flusso sanguigno mantenendo intatte tutte le sue funzionalità e riusciva perciò a normalizzare i livelli di glucosio nel sangue di topi diabetici. "Mostrando che le cellule umane rispondono allo stesso modo delle cellule dei topi", commenta Accili, "abbiamo rimosso l'ostacolo principale e ora possiamo andare nel tentativo direndere questa cura realtà". Ovvero trovare un farmaco che possa spegnere FOXO1 nelle cellule gastrointestinali dei pazienti diabetici per far loro produrre insulina.

domenica 14 settembre 2014

Diabete: FOXO 1, il gene responsabile


FOXO 1 è il gene responsabile del Diabete 1, secondo la recente ricerca pubblicata su Nature Communications dalla Columbia University, tramite gli scienziti del Naomi Berrie Diabetes center, da anni in prima linea nella lotta alla grave e invalidante patologia cronica.

In pratica nel Diabete 1 le cellule immunitarie, dettelinfociti T cd4 e linfociti T cd8, andrebbero ad aggredire le cellule del pancreas, l'organo ghiandolare con il compito di elaborare l'ormone Insulina, che, a sua volta, regola l'equilibrio ematico del Glucosio, lo zucchero semplice, principale fonte energetica delle cellule.
I ricercatori americani hanno focalizzato la loro attenzione sul gene FOXO 1, responsabile della produzione di un fattore proteico regolatore del metabolismo glucidico e della capacità degli adipociti, ossia le cellule del tessuto "grasso", di depositare Trigliceridi o "grassi".
In pratica, andando ad inattivare il gene FOXO 1, è stato possibile agire su cellule gastrointestinali, favorendone una differenziazione nel senso ghiandolare; di fatto, in un intestino murino creato con cellule staminali pluripotenti è stato osservato che le cellule con il gene in questione silenziato hanno cominciato a produrre Insulina come risposta fisiologica alla presenza di Glucosio.
Dal momento che il modello murino, spesso utilizzato nella ricerca in laboratorio perché evolutivamente "simile" all'Uomo, fornisce preziose informazioni anche sulla variante umana di FOXO 1. La speranza che si nutre è che nel volgere di qualche anno si possa giungere ad una cura per ilDiabete di tipo 1, una patologia autoimmune che ad oggi viene approcciata, dal punto di vista clinico, con interventi che vanno dall'assunzione, per il paziente, di dosi quotidiane di Insulina esogena fino ad arrivare al trapianto di Pancreas, nei casi più gravi.


giovedì 4 settembre 2014

Diabete: cellule intestinali trasformate in produttrici insulina

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“Spegnendo” un singolo gene, un team di scienziati della Columbia University e’ riuscito a convertire cellule gastrointestinali in cellule produttrici di insulina, dimostrando in linea di principio che un farmaco potrebbe cambiare le cellule del tratto digestivo inducendole a produrre insulina. La ricerca, condotta da Domenico Accili della Columbia University e pubblicata su Nature Communications, potrebbe offrire l’opportunita’ di sostituire le cellule morte nel diabete di tipo 1 con cellule “rieducate” a funzionare bene. Un processo piu’ semplice delle altre opzioni considerate attualmente, come trapiantare nuove cellule dalle staminali adulte o embrionali. Le cellule che producono insulina possono essere realizzate in laboratorio da cellule staminali, ma generalmente non hanno tutte le funzioni naturali delle cellule beta pancreatiche. Dagli esperimenti e’ emerso che le cellule intestinali dei topi trasformate in cellule produttrici di insulina posseggono invece tutti i requisiti. La tecnica e’ efficace anche sulle cellule umane. Sui tessuti realizzati in laboratorio le cellule intestinali umane hanno “imparato” a produrre insulina in risposta alle circostanze fisiologiche create disattivando il gene FOXO1. Il prossimo passo sara’ lo sviluppo di un farmaco che inibisca il gene nelle cellule gastrointestinali dell’uomo.