giovedì 30 ottobre 2014

I cereali a colazione tengono lontano il diabete


Fare colazione è importante, ma lo è ancora di più se si consumano cereali perché, secondo un nuovo studio, abbassa il rischio di sviluppare il diabete di tipo 2

Fare colazione, in particolare con i cereali, abbassa il rischio di diabete, specie nei bambini. Foto: ©photoxpress.com/Oleksiy Ilyashenko

D’accordo, fare colazione non fa dimagrire, ha suggerito un recente studio. Ma, fare colazione resta comunque una buona abitudine da incoraggiare: e su questo sono tutti d’accordo. In più, se durante il primo pasto della giornata si consumano cereali, ecco che possiamo ridurre il rischio di sviluppare il diabete di tipo 2. Un profilo di salute che è stato trovato in particolare nei bambini che fanno colazione in questo modo.

Lo studio trasversale, condotto dai ricercatori dell’Università di St. George di Londra e pubblicato sulla rivista PLoS Medicine, ha visto il coinvolgimento di 4.116 bambini di età compresa tra i 9 e i 10 anni che sono stati interrogati circa la loro colazione. Parallelamente all’indagine volta a verificare se i partecipanti facevano o meno colazione e quali tipi di alimenti consumavano, la dott.ssa Angela Donin e colleghi hanno eseguito degli esami del sangue per misurare il rischio di diabete, valutando marcatori quali l’insulina a digiuno, la glicemia e l’emoglobina glicata (HbA1c).

I primi risultati hanno evidenziato che tra i bambini che saltavano la colazione quasi tutti i giorni (il 26%) vi era un più elevato rischio di diabete. Questi stessi bambini avevano livelli di insulina a digiuno più alti, una maggiore resistenza all’insulina, livelli di poco maggiori di HbA1c e glucosio rispetto a coloro che hanno riportato fare sempre la prima colazione.
Ma ciò che ha fatto la differenza tra coloro che facevano colazione, era il tipo di alimenti che assumevano. Difatti, i bambini che hanno riportato di assumere un alto contenuto di fibre e cereali per la prima colazione aveva un’insulino-resistenza inferiore rispetto a quelli che mangiavano altri tipi di cibo, come per esempio i biscotti.

Anche se una limitazione degli studi trasversali è il rischio di identificare false associazioni, a causa di fattori di confondimento, le associazioni individuate in questo studio sono rimaste significative anche dopo l’aggiustamento per possibili fattori confondenti come lo status socio-economico, l’attività fisica e il grasso corporeo.
«Le associazioni osservate suggeriscono che il consumo regolare della prima colazione, che coinvolge soprattutto il consumo di cereali ricchi di fibre, potrebbe proteggere contro il rischio di sviluppo precoce di diabete di tipo 2», concludono i ricercatori.

domenica 26 ottobre 2014

Caffe': attenzione, puo' favorire il diabete di tipo 2



Il caffè può favorire il diabete nei consumatori abituali e soprattutto in chi soffre di ipertensione. Una delle bevande più amate può essere dunque inserita tra le cause del diabete? Il primo pensiero va ai cucchiaini di zucchero che molti amanti del caffè versano nella tazzina senza pensarci troppo. Proviamo ad approfondire ciò che dice la scienza.
Una nuova ricerca, infati, ha evidenziato che chi assume caffè di frequente ha molte più probabilità di sviluppare il diabete, soprattutto se soffre diipertensione. In particolare, si ritiene che bere più di 3 tazzine di caffè al giorno possa favorire il diabete in alcune persone.
Secondo una ricerca appena presentata al congresso dell'European Cardiology Society a Barcellona, il caffè è nocivo per i soggetti a rischio di diabete. In particolare, il caffè farebbe innalzare i livelli di glucosio, favorendo l'insorgenza deldiabete di tipo 2.
Alcune persone dopo aver bevuto caffè rischiano di non riuscire ad addormentarsi, di non riposare bene o di sentirsi nervose. Si tratta di conseguenze soggettive che non colpiscono tutti gli amanti della classica tazzina bollente. Ma ora il rischio di diabete può riguardare tutti, con ipertesi e soggetti predisposti al diabete in prima fila.
Secondo gli esperti, il 58% dei consumatori abituali di caffè fatica a metabolizzare la bevanda. Il lungo processo di metabolizzazione conduce ad un incremento dei livelli di glucosio nel sangue, pericoloso per l'insorgenza del diabete e della sindome da pre-diabete. Il caffè, inoltre, potrebbe amplificare gli effetti di ansia e depressione. In attesa di ulteriori conferme, riuscireste a ridurre il vostro consumo di caffè in nome della salute e della prevenzione?
Marta Albè

venerdì 24 ottobre 2014

Quando il diabete è causato dalle pentole per cucinare



L’esposizione alle tossine trovate nelle pentole antiaderenti potrebbe portare a sviluppare il diabete di tipo 2, suggerisce un nuovo studio condotto dai ricercatori della Divisione di Medicina del Lavoro e Ambientale presso l’Università di Uppsala. Anche altri prodotti sul banco degli imputati
Le pentole antiaderenti e altri prodotti composti dalle stesse sostanze sono stati trovati aumentare il rischio di diabete. Foto: ©photoxpress.com/Lucky Dragon

prodotti sul banco degli imputati

Le pentole antiaderenti e altri prodotti composti dalle stesse sostanze sono stati trovati aumentare il rischio di diabete. Foto: ©photoxpress.com/Lucky Dragon


C’è un collegamento tra il diabete, le pentole antiaderenti e altri prodotti. Collegamento favorito da un’esposizione a sostanze come i perfluorurati (PFC), utilizzati non solo nelle pentole antiaderenti ma anche in molti altri prodotti industriali e di uso comune come, per esempio, schiume antincendio, grasso e materiali idrorepellenti, materiali a contatto con alimenti, sciolina e tessuti in GoreTex.

Ora, ad aver trovato questa correlazione sono stati i ricercatori della Divisione di Medicina del Lavoro e Ambientale presso l’Università di Uppsala, in Svezia, i quali hanno condotto uno studio su un gruppo di circa 1.000 persone di entrambi i sessi per misurare i livelli di 7 diversi tipi di perfluorurati nel sangue e valutare se questi fossero correlati al diabete, già presente in 114 delle persone partecipanti allo studio.

La prof.ssa Monica Lind e colleghi hanno scoperto che questi sette composti perfluorurati erano rilevabili in quasi tutti gli individui coinvolti nello studio. Le analisi specifiche condotte hanno poi permesso di scoprire che alti livelli nel sangue di uno di questi composti, l’acido perfluorononanoico (PFNA), erano collegati al diabete.
I risultati finali dello studio, pubblicati sulla rivista Diabetologia, hanno tuttavia mostrato che non solo il PFNA era collegato al diabete, ma anche il noto PFOA (acido perfluoroottanoico) utilizzato nella produzione di pentole antiaderenti. Questo stesso composto è stato trovato essere correlato all’interruzione nella secrezione dell’insulina da parte del pancreas.

Sono dunque ancora una volta sotto accusa questi composti chimici utilizzati nelle produzioni industriali che, come spesso accade, divengono poi parte dell’ambiente e dei prodotti che utilizziamo nella quotidianità. E il problema sta proprio qui: l’essere umano crea e produce per il proprio rendiconto sostanze che all’atto pratico attentano alla salute dell’ambiente e, di conseguenza, alla salute di tutti. Quand’è che impareremo la lezione?
  

mercoledì 22 ottobre 2014

Diabete gestazionale: cos’è, quali i rischi, come curarlo

Il 16% delle future mamme sviluppa il così detto diabete gestazionale, molto simile a quello di tipo 2 che solitamente insorge dopo i 60 anni in conseguenza di abitudini alimentari sbagliate e di uno stile di vita sedentario; particolarmente a rischio sono le gestanti in sovrappeso, quelle che hanno già sviluppato tale patologia in precedenti gravidanze e quelle che presentano nella storia clinica familiare casi di diabete. In sostanza, il diabete gestazionale è una manifestazione precoce di un diabete di tipo 2 slatentizzato dallo stress metabolico della gravidanza; certo, una situazione da non sottovalutare, ma anche una opportunità per correggere il proprio stile di vita. Vediamo insieme cosa lo causa, quali sono i rischi per la madre e per il piccolo e quali sono le terapie previste.
Normalmente, gli ormoni della placenta contrastano l’insulina prodotta dal corpo della madre per garantire al piccolo il giusto apporto di zuccheri; quando questo meccanismo si altera, ecco comparire il diabete gestazionale: si instaura una situazione di insulinoresistenza e nel sangue materno riscontra una concentrazione eccessiva di glucosio.
Il problema deve essere diagnosticato fra la 23esima e la 28esima settimana di gestazione; per farlo basta osservare la curva glicemica materna sottoponendo la donna a tre prelievi di sangue in tre momenti diversi: prima di assumere 75 grammi di glucosio, a distanza di un’ora e dopo due ore dall’assunzione. La concentrazione di glucosio nel sangue non deve superare rispettivamente i 93, 180 e 153 milligrammi di glucosio per decilitro di sangue.
Quali sono i rischi? Nella madre lo scompenso metabolico può comportare complicanze cardiovascolari, mentre il bambino può avere un maggior peso alla nascita, con una media di 4,3 chili. Questo può portare a complicanze durante il parto e a un taglio cesareo, mentre le attuali terapie hanno drasticamente abbassato l’incidenza di casi di morte endouterina e sofferenza fetale. Un ulteriore e importante rischio è quello che il piccolo, cresciuto in un utero con alti valori di glicemia, possa sviluppare a sua volta il diabete di tipo 2.
La terapia consiste in un cambio di alimentazione: diminuiti gli zuccheri e i grassi, è necessario incrementare il consumo di frutta, verdura, pesce, pollame e legumi; inoltre è necessario praticare una attività fisica anche moderata. Bastano 40 minuti di passeggiata a passo svelto tutti i giorni. Nel casi più severi si può fare ricorso all’insulina; in ogni caso è necessario monitorare la crescita del piccolo attraverso ecografie periodiche.

lunedì 20 ottobre 2014

Lavorare troppo fa venire il diabete


 Lavorare più di 55 ore a settimana fa aumentare di un terzo il rischio di sviluppare il diabete di tipo 2, ma solo se si è impiegati in lavori manuali o comunque con uno status socioeconomico basso. A questa conclusione sono giunti gli autori di uno studio appena apparso sulla rivista The Lancet Diabetes & Endocrinology alla fine di una meta-analisi compiuta su 4 studi pubblicati e sui dati non pubblicati di altri 19 studi su una polazione totale di 22 uomini e donne di Stati Uniti, Europa, Giappone e Australia, seguiti in media per quasi 8 anni.


Rispetto a chi lavora con un normale orario settimanale di 35-40 ore, chi supera le 55 vede aumentare significativamente i rischi. L'associazione, che regge anche tenendo conto di diversi fattori di rischio noti come il sovrappeso, il fumo, l'età, il sesso e perfino il lavoro su turni, di cui si conosce il ruolo nell'insorgenza del diabete, non è però risultata valida per tutti i tipi di lavoro, ma solo per quelli di profilo più basso.


"Anche se è improbabile che l'orario di lavoro aumenti il rischio di diabete in tutti, i professionisti del settore sanitariodovrebbero essere consapevoli che è associato a un rischio significativamente più alto in chi fa lavori dallo status socioeconomico più basso", ha dichiarato Mika Kivimäki, tra gli autori della meta-analisi. Su quali siano i meccanismi alla base di questa associazione saranno però necessari ulteriori studi. Tra le spiegazioni possibili, secondo i ricercatori, ci sono orari di lavoro organizzati in modo da lasciare poco spazio per attività ricreative e ristoratrici come dormire, rilassarsi, fare esercizio fisico.

venerdì 17 ottobre 2014

Diabete: un nuovo test aiuta a identificare i bimbi a rischio?


Prevenzione diabete: un gruppo di ricercatori ha messo a punto un test sulla saliva che sembra in grado di identificare i bambini a rischio di sviluppare il diabete di tipo 2
Fino a qualche anno fa era considerata una malattia esclusivamente da adulti. Negli ultimi tempi, invece, ildiabete di tipo 2 è diventato sempre più frequente anche fra i bambini. Colpa soprattutto del cambiamento dello stile di vita, in particolare della scarsa propensione a fare sport e della dieta poco equilibrata. Purtroppo, si tratta di una condizione pericolosa: infatti, può comportare una serie di conseguenze, anche nel lungo periodo. Per questo, sarebbe importante riconoscere per tempo i bimbi a rischio. In futuro, l’identificazione precoce potrebbe essere relativamente semplice. Infatti, è stato messo a punto un test sulla saliva in grado di individuare i probabili futuri diabetici.
Un’indagine per nulla invasiva
Il nuovo esame è stato ideato da un team di ricercatori americani, del Forsyth Institute, e presentato sulla rivista Plos One. In pratica, consiste nel prelievo di un campione di saliva, che viene poi analizzato in laboratorio, alla ricerca di alcuni biomarcatori specifici, che hanno un legame con il diabete di tipo 2.
Lo studio su oltre 700 bambini
L’efficacia e l’utilità dell’indagine sulla saliva sono state provate su un gruppo di 774 bambini di 11 anni, con peso corporeo differente. Alcuni erano sottopeso o normopeso, mentre altri erano sovrappeso o obesi. Tutti sono stati sottoposti al test per l’analisi dei biomarker nella saliva.
Analizzati 4 marcatori
Dall’analisi dei risultati, è emerso che il livello di quattro marcatori accresceva all’aumentare del peso dei bambini. Questi marcatori erano: la leptina, l’adiponectina, la proteina C-reattiva e l’insulina. Ebbene, queste sostanze svolgono un ruolo importante anche nello sviluppo del diabete di tipo 2. Del resto, occorre sapere che sovrappeso e obesità sono correlati a un rischio aumentato di malattie metaboliche e cardiovascolari.
Il parere degli esperti
Gli autori sono molto soddisfatti di quanto scoperto. “La nostra ricerca è interessante perché i metodi non invasivi sono fondamentali quando si tratta di bambini. La diagnostica salivare potrebbe fornire un’alternativa accettabile per lavorare sulla prevenzione del diabete sin dall’infanzia” hanno spiegato.
IN BREVE
IL MECCANISMO DEL DIABETE
Il diabete di tipo 2 è caratterizzato dall’incapacità dell’organismo di percepire il segnale dato dall’insulina, che oltretutto viene prodotta in quantità ridotte. L’insulina è un ormone prodotto dal pancreas, che permette allo zucchero di entrare nelle cellule per nutrirle, evitando che si accumuli nel sangue.


domenica 12 ottobre 2014

Saliva per valutare i livelli di glucosio nel diabete mellito



Il diabete mellito è un disturbo del metabolismo dei carboidrati caratterizzato da iperglicemia e glicosuria. Rappresenta una distorsione nell’equilibrio tra l’utilizzo del glucosio da parte dei tessuti e la liberazione di glucosio da parte del fegato.
I test diagnostici in genere utilizzano sangue e urine e meno frequentemente fluidi come saliva, sudore e lacrime. Gli steroidi, gli anticorpi, gli ormoni e alcuni farmaci allo stato attuale riescono a essere rilevati e misurati nella saliva. In questo studio gli autori hanno voluto determinare la correlazione tra la concentrazione salivare di glucosio e quella nel sangue in individui sani non diabetici e in pazienti con diabete mellito di tipo II.
In questo studio sono stati considerati 30 pazienti (20 con diabete mellito di tipo II e 10 sani come gruppo controllo) di età tra 25 e i 45 anni. I campioni di sangue e di saliva sono stati raccolti durante condizioni di riposo. Sono stati raccolti campioni di saliva non stimolata a riposo e a digiuno ogni 60 secondi per un totale di cinque minuti. Tutti i soggetti sono stati invitati a lavarsi la bocca accuratamente prima di raccogliere campioni di saliva. Anche i campioni di sangue sono stati raccolti sia nel gruppo di diabetici che in quello di controllo mediante prelievo venoso. Ė stata anche determinata l’emoglobina glicosilata  A1c sia in pazienti diabetici di tipo II che nel gruppo di controllo ed è stata riscontrata una correlazione significativa tra HbA1c e glicemia.
Ė stata anche rilevata una correlazione significativa (r = 0.54 e r = 0.45) tra glicemia a digiuno e glicemia a digiuno salivare nel gruppo dei diabetici e nel gruppo di controllo, rispettivamente. Una correlazione positiva è stata trovata anche tra la concentrazione salivare di glucosio a digiuno e l’HbA1c per il gruppo di diabetici (r = 0,39) e quello di controllo (r = 0,38), rispettivamente.
Questi risultati suggeriscono che la saliva può essere utilizzata nella valutazione della concentrazione di glucosio nel sangue nel diabete mellito pazienti come metodologia semplice, rapida e non invasiva


martedì 7 ottobre 2014

PREVENZIONE: LA DIETA MEDITERRANEA


Contro Il Rischio Diabete

Le difficoltà economiche ci stanno però allontanando dai cibi più sani. Lo studio «Moli-sani» studia quanto giocano i fattori genetici e ambientali nelle malattie cardiovascolari
di Adriana Bazzi


La dieta mediterranea è in crisi da tempo, colpa della recessione. Così si ingrossa l’esercito degli obesi e riemerge il rischio di malattie cardiovascolari che le abitudini alimentari, tipiche dell’Italia e dei Paesi che si affacciano sul Mediterraneo, stavano tenendo a bada. Iscritta nella lista del Patrimonio culturale immateriale dell’umanità dall’Unesco nel 2010, oggi sta per essere surclassata da hamburger e patatine fritte, kebab e cibi in scatola, panini e merendine. Perché le verdure fresche e il pesce, capisaldi della dieta mediterranea, sono molto più costosi del cibo spazzatura.
Due studi
La documentazione degli effetti collaterali della crisi a tavola arriva da una ricerca, pubblicata sul British Medical Journal : quanto più è elevato il reddito e il livello di istruzione delle persone tanto più queste sono propense a seguire la dieta mediterranea e tanto meno soffrono di obesità. Un secondo studio, in pubblicazione su Nutrition, metabolism and cardiovascular diseases conferma: a partire dal 2007 hanno dovuto rinunciare, per ragioni economiche, agli alimenti più sani soprattutto gli anziani, i meno abbienti e coloro che vivono nelle zone urbane. I due lavori sono firmati da un gruppo di ricercatori italiani, fra cui Maria Benedetta Donati, e i dati emergono da un progetto chiamato Moli-sani, una sorta di studio Framingham italiano. Quest’ultimo è partito negli Stati Uniti alla fine degli anni Quaranta e da allora sta tenendo sotto controllo l’intera popolazione di una cittadina del Massachusetts, Framingham appunto, alla ricerca di fattori di rischio cardiovascolare. È grazie a questa ricerca se noi oggi sappiamo che il colesterolo in eccesso nel sangue e la pressione alta predispongono a infarto e ictus.
Moli-sano: fattori genetici e ambientali
Lo studio Moli-sani sta facendo qualcosa di analogo: il suo obiettivo è quello di analizzare quanto giocano i fattori genetici e quelli ambientali (compresa appunto la dieta) nel determinare malattie cardiovascolari e certi tipi di tumore. Così un’intera regione si è trasformata in un grande laboratorio scientifico. «Lo studio Moli-sani è partito nel 2002, promosso dalla sede di Campobasso dell’Università Cattolica del Sacro Cuore - spiega Maria Benedetta Donati, che lo coordina e ne parlerà in occasione della decimaConferenza mondiale sul futuro della scienza, promossa dalla Fondazione Veronesi (Venezia, 18-20 settembre) - con l’idea di coinvolgere 25 mila persone dai 35 anni in su, il 10 per cento degli abitanti del Molise: il reclutamento è avvenuto fra il 2005 e il 2010. Poi, l’anno scorso, l’Università ha chiuso i battenti a Campobasso. Si rischiava di compromettere anni di lavoro, ma il gruppo di ricercatori coinvolti nello studio sono stati accolti all’Istituto Neuromed di Pozzilli, a Venafro, sempre in Molise, un istituto di eccellenza che si occupa di ricerca sulle malattie cerebrovascolari, e hanno potuto continuare l’indagine». Di ogni partecipante allo studio, i medici hanno raccolto un prelievo di sangue e dati relativi a peso e altezza. Non solo: hanno sottoposto tutti i volontari a una spirometria e a un elettrocardiogramma e hanno compilato due questionari, uno sulla loro storia clinica e uno sulle abitudini alimentari e di vita. Ora è il momento di richiamare tutti, uno per uno, e di valutare che cosa è cambiato nelle loro abitudini e nel loro stato di salute. Il progetto è una miniera d’oro di informazioni che ha già permesso una serie di osservazioni interessanti, pubblicate in letteratura (su Medline, la banca dati degli studi scientifici, ne sono censiti una trentina). «Chi aderisce alla dieta mediterranea - continua Donati - è più protetto nei confronti di stimoli infiammatori perché quest’ultima è ricca di sostanze antiossidanti. E questo è un vantaggio dal momento che l’infiammazione cronica è alla base di molte patologie come il diabete o la sindrome metabolica».
I diabetici

Un altro dato interessante riguarda i diabetici (2000 sui 25 mila partecipanti all’indagine): se consumano cibi sani hanno una mortalità inferiore rispetto agli altri. «Le buone abitudini alimentari si stanno però perdendo - conclude Bernardi - e ci stiamo adeguando alle abitudini d’ oltreoceano che, purtroppo, sono le più ricercate dai giovani».
http://www.corriere.it/salute/nutrizione/14_settembre_08/dieta-mediterranea-contro-rischio-diabete-7e0c26f0-373c-11e4-bcc9-7c497bbfce5d.shtml

venerdì 3 ottobre 2014

Diabete sotto osservazione


La retinopatia diabetica è una frequente complicazione oculare. Nuovo rapporto sul diabete al VII Changing Diabetes Barometer Forum: se ne parla il 10 e l'11 luglio 2014 a Monte Porzio Catone (Rm)
Diagnosticare tempestivamente il diabete e tenerlo sotto controllo è essenziale anche per la vista. Tra le principali complicazioni della malattia c’è, infatti, la retinopatia diabetica (che coinvolge la retina): per questo, oltre al controllo periodico della glicemia, è necessario sottoporsi almeno una volta l’anno all’esame del fondo oculare. Un’occasione per parlare del diabete e dei suoi rischi è il VII Changing Diabetes Barometer Forum che si svolge a villa Mondragone  il 10 e l’11 luglio 2014 (Monte Porzio Catone, Roma), in occasione del quale viene presentato il Rapporto “Fatti e numeri del diabete in Italia nel 2014”.
Più  diabetici, più spesa
I tre milioni di diabetici che indicativamente vivono in Italia corrono un rischio doppio di essere ricoverati in ospedale, dove la loro permanenza è in media del 20% più lunga. Il diabete, che solo in Italia colpisce 3,3 milioni di persone, è responsabile ogni anno di circa 12 mila ricoveri ogni 100 mila persone. Questo stato delle cose grava sulle casse dello Stato per 6 miliardi di euro l’anno. Essenziale è quindi diagnosticarlo il prima possibile, controllarlo correttamente e, quindi, prevenire anche le sue numerose complicazioni con i relativi costi.

Una  malattia cronica in crescita
Il diabete è una malattia cronica in forte aumento soprattutto tra gli anziani: circa due terzi dei diabetici in Italia hanno più di 65 anni. Secondo l’Oms i diabetici nel mondo sono complessivamente 347 milioni. Un malato su due risulterebbe già affetto da qualche complicanza legata agli zuccheri eccessivamente concentrati nel sangue. Inoltre se si è diabetici bisogna tenere d’occhio anche l’andamento della glicemia nel tempo (glicemia glicata).

L'importanza  della prevenzione
Fondamentale è prevenire il diabete mediante un corretto stile di vita, che va da un’attività fisica quotidiana di almeno mezz’ora al giorno a un’alimentazione sana, passando per la rinuncia al fumo e l’assenza di stress. Un diabetico colpito da retinopatia può essere sottoposto a trattamento laser della retina (laserterapia): si può arrestare la proliferazione indesiderata dei nuovi vasi ‘bruciando’ le zone malate.


Due giorni dedicati alla salute e... agli zuccheri
L’evento del 10 e 11 luglio 2014 – patrocinato, tra gli altri, dall’Agenzia internazionale per la prevenzione della cecità-IAPB Italia onlus – è stato organizzato dall’Italian Barometer Diabetes Observatory Foundation (IBDO) e dall’Università di Tor Vergata (Roma), sotto l’Alto Patronato del Presidente della Repubblica, col patrocinio di Presidenza del Consiglio dei Ministri, Commissione Europea, Parlamento Europeo e Ministero della Salute: è l’occasione per degli “stati generali” sul diabete, in occasione del semestre di presidenza italiana del Consiglio dell’Unione Europea appena avviato, grazie alla partecipazione di numerosi esperti di clinica, economia e politiche sanitarie. Un modo per affrontare un problema di salute sempre più presente nei Paesi occidentali.