martedì 28 giugno 2016

Rischio cuore e diabete 'ereditato' da un bambino su tre




Per un bambino su tre c'è il rischio "elevato" di 'ereditare', da genitori e nonni, problemi cardiometabolici come diabete, colesterolo alto e altri disturbi. E' il risultato di uno studio condotto da epidemiologi olandesi. La ricerca è partita da un campione di circa 4mila bambini. Per 1500 di loro gli studiosi hanno preso informazioni sullo stato di salute delle due generazioni precedenti, sempre in merito ai problemi oggetto dell'indagine. I piccoli sono stati divisi in gruppi per livello di "familiarità" con i disturbi cardiometabolici (in base alle diverse condizioni degli ascendenti).

Gli esperti sono arrivati alla conclusione che i piccoli con "forte familiarità" hanno un rischio maggiore di soffrire di colesterolo alto, glicemia alta e diabete già a 12 anni, indipendentemente dal peso corporeo. Sempre per familiarità, un bambino su tre è risultato a rischio colesterolo alto e diabete. Gli studiosi spiegano che il 'peso' degli ascendenti sulla salute dei bambini ha, molto probabilmente, una natura sia genetica sia legata agli stili di vita.

venerdì 24 giugno 2016

L'olio extravergine di oliva aiuta a combattere il diabete

Una dieta a più elevato contenuto di grassi monoinsaturi può avere un effetto favorevole sulla glicemia
L'olio extravergine di oliva aiuta a combattere il diabete
Una dieta a più elevato contenuto di grassi monoinsaturi può avere un effetto favorevole sulla glicemia



Fa bene, è sano, è uno degli ingredienti base della dieta mediterranea e fa bene alla salute: è l'olio extravergine di oliva che, non ha caso, nell'Antica Grecia era definito come alimento-medicamento
Tra i tanti benefici che l'olio extravergine di oliva possiede, infatti, c'è la sua funzione di alleato contro le complicazioni del diabete, perché tiene a bada i picchi di glicemia (concentrazione di zucchero nel sangue e nelle urine) che possono verificarsi dopo i pasti, soprattutto quelli che contengono molti carboidrati.
Uno studio condotto dai ricercatori dell'Azienda ospedaliera universitaria Federico II di Napoli su pazienti affetti da diabete, pubblicato sulla rivista Diabetes Care, ha dimostrato che aggiungere l'olio extravergine agli alimenti riduce le impennate post-prandiali della glicemia e può contribuire a proteggere i pazienti dalle complicazioni cardiovascolari e microvascolari del diabete. Una dieta a più elevato contenuto di grassi monoinsaturi - di cui l'extravergine è ricco - può avere dunque un effetto favorevole sulla glicemia.
A sostenerlo, tra i produttori italiani certificati, c'è anche Sagra:

"Contrariamente alle tipiche indicazioni dietetiche consigliate ai pazienti effetti da diabete di tipo II, che prevedono un aumento dell’apporto di carboidrati complessi e di fibre e una diminuzione dei grassi, recenti studi hanno evidenziato un possibile effetto favorevole sulla glicemia di una dieta a più elevato contenuto di grassi totali, grazie ad un aumento degli acidi grassi monoinsaturi e da una contemporanea riduzione degli acidi grassi saturi: queste caratteristiche sono tipiche della dieta mediterranea, all’interno della quale l’olio di oliva rappresenta la fonte principale dei grassi alimentari. Per queste ragioni l’olio extra vergine di oliva, estremamente ricco di acidi grassi monoinsaturi, può avere effetti benefici per il trattamento dell’insulinoresistenza, generalmente associata ad obesità addominale."

giovedì 23 giugno 2016

Marito infelice? Fa bene alla salute! Meno rischio diabete

Marito infelice? Fa bene alla salute! Meno rischio diabeteSe vostra moglie vi rende la vita particolarmente difficile, non disperate: fa bene alla salute! Almeno secondo quanto è emerso da una ricerca della Michigan State University e pubblicata sulla rivista Journals of Gerontology: Social Sciences. Numeri alla mano: i mariti che vivono relazioni tumultuose e non molto felici hanno meno probabilità di sviluppare il diabete di tipo 2. E addirittura lo controllano meglio se ne sono già affetti. Utilizzando i dati del National Social Life, Health and Aging Project i ricercatori hanno analizzato i risultati di un sondaggio su 1.228 intervistati sposati nel corso di cinque anni. I partecipanti avevano tra i 57 e gli 85 anni quando hanno cominciato e 389 hanno sviluppato il diabete alla fine dello studio. Andando ad approfondire il rapporto tra la qualità del matrimonio e il rischio di diabete, la scoperta più sorprendente è stata che per gli uomini una diminuzione della qualità del matrimonio riduceva il rischio di sviluppare il diabete e aumentava le chance di gestione corretta della malattia. Continua a leggere qui.

martedì 21 giugno 2016

Se la tiroide funziona male aumenta il rischio di diabete

Avere un deficit anche lieve di ormoni tiroidei fa crescere del 13 per cento la probabilità di sviluppare il diabete, addirittura del 40 per cento in chi già soffre di pre-diabete

Se si soffre di ipotiroidismo, anche non troppo evidente, il pericolo di ammalarsi di diabete di tipo 2 cresce del 13 per cento in chi non ha problemi nel metabolismo degli zuccheri, fino al 40 per cento in chi già ha la glicemia al limite. Lo dimostra uno studio presentato all'ultimo congresso della Endocrine Society statunitense che suggerisce di sottoporre a uno screening per gli ormoni tiroidei tutti i pazienti con pre-diabete.
Studio ampio
I dati arrivano da un'ampia indagine condotta su poco meno di 8.500 partecipanti del Rotterdam Study, uno studio olandese di popolazione che include persone over 45 con una media di 65 anni: gli autori hanno sottoposto i volontari a un esame del sangue per misurare glicemia e ormoni tiroidei, ripetendo il test ogni due o tre anni e seguendoli in media per circa otto anni. Nel corso del tempo 1.100 persone hanno sviluppato un pre-diabete, 798 un diabete vero e proprio; ebbene, i dati mostrano che il rischio di diventare diabetici era superiore del 13 per cento in chi all'inizio aveva la glicemia normale ma una funzione tiroidea un po' deficitaria. Questo è risultato vero anche per chi aveva gli ormoni della tiroide soltanto di poco inferiori alla norma, ma l'effetto più evidente si è registrato in chi partiva da una condizione di pre-diabete: in questo caso la probabilità di un diabete conclamato saliva del 40 per cento, di nuovo anche per chi non si trovava in una condizione di chiaro ipotiroidismo ma aveva gli ormoni tiroidei che scarseggiavano solo di poco.
Metabolismo e ormoni
«La tiroide e i suoi ormoni sono fondamentali per la regolazione del metabolismo - spiega Layal Chaker dell'Erasmus Medical Center di Rotterdam, coordinatore dell'indagine -. L'ipotiroidismo favorisce l'incremento di peso e in passato si è verificato un legame fra la carenza di ormoni tiroidei e una ridotta sensibilità all'insulina, anche questa coinvolta nello sviluppo del diabete. I nostri dati mostrano che anche chi ha gli ormoni quasi nella norma, solo di poco deficitari, è a più alto rischio di manifestare la malattia: questo implica che sarebbe probabilmente opportuno sottoporre a uno screening per dosare gli ormoni tiroidei tutti i soggetti con pre-diabete e viceversa. Resta da capire tuttavia se una diagnosi precoce e il relativo trattamento di un ipotiroidismo sub-clinico, senza sintomi, possa essere vantaggioso in soggetti a rischio di diabete e possa scongiurare la comparsa del problema: serviranno ulteriori indagini per accertarlo».


venerdì 17 giugno 2016

Diabete, gli esperti: "Test del Dna non servono, diffidare da 'cartomanti'"

 Sconsigliare 'senza se e senza ma' l'uso di marcatori genetici per prevenire rischio individuale 

"Viste queste premesse, non sorprende che negli ultimi 6-7 anni, rispondendo alle aspettative di medici e pazienti - suggerisce la Sid - siano stati fatti diversi i tentativi per commercializzare test genetici, basati sui risultati ottenuti dagli studi di associazione genome-wide (Gwas), con lo scopo di prevedere malattie multifattoriali, tra le quali appunto il diabete di tipo 1 (Dmt1), il diabete di tipo 2 (Dmt2) e alcune delle complicanze croniche del diabete".
Nel caso del diabete di tipo 1, l'informazione genetica e la consulenza genetica, possono essere di qualche aiuto in alcune famiglie con un’elevata presenza di individui affetti, ma non nella popolazione generale - precisano i diabetologi Sid - La presenza di una rilevante componente genetica alla base dell’insorgenza della malattia è evidente: il rischio di sviluppare diabete di tipo 1 prima dei 20 anni è del 5% nei bambini nati in una famiglia con un membro affetto da questa condizione, mentre è solo dello 0,3% nella popolazione generale. Il 50% di questa suscettibilità genetica al diabete di tipo 1 è 'scritto' nei geni del complesso maggiore di istocompatibilità (Hla), sul cromosoma 6. Al di fuori di questa piccola regione del Dna, ne sono state individuate altre 60 che conferiscono suscettibilità al diabete di tipo 1, ma che non sono così importanti come i geni Hla. Quelle più studiate sono il gene dell’insulina (INS), del Cytotoxic T-Lymphocyte Antigen (CTLA-4) e del Protein Tyrosine Phosphatase Non Receptor 22 (PTN22).
"La tipizzazione dei geni HLA – spiega Trischitta – insieme alla storia familiare di malattia e alla presenza di autoanticorpi (contro insulina, GAD, IA-2 e ZnT8), rappresenta attualmente il migliore approccio per la predizione del diabete di tipo 1. Nel singolo individuo la tipizzazione HLA potrebbe essere utile nei parenti di primo grado dei pazienti con diabete di tipo 1, permettendo di stimare il rischio della comparsa di autoanticorpi e dell’iperglicemia. Al di fuori dell’ambito predittivo inoltre, la tipizzazione HLA può aiutare a distinguere il diabete di tipo 1 da altre forme di diabete (ad esempio il MODY o diabete neonatale). Tuttavia, ad oggi non è stata individuata alcuna strategia per la prevenzione del diabete di tipo 1 e quindi una volta appurato un aumentato rischio di sviluppare la condizione morbosa, non si sarebbe comunque in grado di prevenirla".
"Bisogna chiedersi - avverte Trischitta - se i test di predizione del diabete di tipo 1 siano veramente utili ed eticamente giustificati sul versante medico-assistenziali o se invece non debbano ancora essere lasciati come utile strumento di ricerca nell’attesa che si individuino vere strategie di prevenzione di questa forma di diabete".
Nel caso del diabete di tipo 2, questa è una malattia caratterizzata da una forte componente genetica, ma grandemente influenzata anche dallo stile di vita e da influenze ambientali e sociali. Il numero delle varianti genetiche associate finora al rischio di diabete di tipo 2 è in costante aumento e attualmente se ne contano 153. L’insieme di tutte queste varianti tuttavia spiega appena il 10-15% della ereditabilità del diabete di tipo 2.
"Negli ultimi anni sono stati sviluppati molti modelli non genetici per la predizione del rischio di diabete di tipo 2, basati su età, sesso, etnia, adiposità, glicemia, storia familiare di diabete, componenti della sindrome metabolica. Al momento attuale - rimarca la Sid - l’associazione delle informazioni genetiche a questi modelli clinici e socio-demografici di predizione del rischio di diabete di tipo 2 aggiunge poco o nulla alla capacità predittiva complessiva di questi modelli".
In conclusione, secondo i diabetologi "i pazienti dovrebbero essere dunque sconsigliati dall’effettuare i test genetici attualmente in commercio per la determinazione dei rischio individuale di diabete di tipo 2 . Nel caso del diabete di tipo 2 la scoperta di una suscettibilità genetica scritta nel Dna di un individuo non aggiunge nulla di clinicamente rilevante, almeno per il momento, alle informazioni date da biomarcatori non genetici di facile reperibilità ed economici

martedì 14 giugno 2016

Cibo e diabete, ricercatori italiani: invertire le portate riduce la glicemia

PISA.
Evitare che la glicemia salga troppo dopo un pasto equivale ad una prova da sforzo per il metabolismo del paziente affetto da diabete mellito e l'idea che per affrontarlo fosse opportuno fare prima una specie di "riscaldamento" è alla base di uno studio pisano che ha messo in crisi il paradigma, molto italiano, del primo e del secondo.

La ricerca, presentata all'ultimo congresso della società italiana di diabetologia (Sid), è stata svolta presso il laboratorio di Metabolismo, Nutrizione ed Aterosclerosi dell'Università di Pisa, diretto da Andrea Natali, da due giovanissimi: Domenico Tricò, al secondo anno di specializzazione in Medicina interna, ed Emanuele Filice da poco laureato, che hanno sperimentato per 4 settimane su 17 pazienti l'inversione delle portate dei pasti principali dimostrando, spiega una nota dell'ateneo, che ciò "determina una riduzione significativa della glicemia post-prandiale e un miglioramento nei valori dell'emoglobina glicata, il parametro più importante per giudicare il controllo metabolico".


Di recente, aggiunge Natali, "avevamo dimostrato che nei pazienti con diabete un antipasto costituito da proteine e grassi fosse in grado di ridurre marcatamente l'entità dell'innalzamento glicemico prodotto dalla successiva ingestione di carboidrati e come questo avvenisse per un marcato rallentamento dello svuotamento gastrico (indotto dai grassi) e potenziamento della secrezione insulinica (indotta dalle proteine), successivamente, per sfruttare a fini terapeutici questa specie di 'pre-condizionamento' indotto dall'antipasto, senza però aumentare le calorie della giornata, abbiamo pensato che il modo più semplice fosse invertire la successione delle portate ai due pasti principali e i risultati confermano che assieme ai più classici interventi farmacologici e sullo stile di vita, che restano comunque insostituibili, anche l'inversione degli alimenti è una strategia semplice ed efficace per curare il diabete , soprattutto nelle fasi iniziali della malattia".