Venerdì 5 dicembre 2014 presso la Farmacia D.ssa Danile in
Via Vittorio Veneto a Cerignola si terrà
la periodica giornata gratuita di prevenzione alla malattia del diabete, ultima
programmata in quest’anno, con l’effettuazione di esame glicemico, misurazione
pressoria, ecc. con l’intervento di
specialisti del settore. I dottori saranno a disposizione per rispondere a tutte le domande che verranno poste. Intervenite numerosi. Conoscere è sempre meglio di non conoscere.
mercoledì 26 novembre 2014
martedì 25 novembre 2014
Un test della saliva può prevenire cancro e diabete?
Una ricerca dell'Università di Los Angeles ha dimostrato che
all'interno della saliva ci sono degli indicatori che possono aiutare nella
diagnosi precoce di diverse malattie mortali
Potrebbe essere il santo graal della medicina, dice il Daily Mail: un semplice test della
saliva potrebbe aiutare nella diagnosi precoce di malattie come cancro,
diabete di tipo 2, Alzheimer e malattie autoimmuni.
Uno studio realizzato dal dottor David Wong dell'Università di Los
Angeles ha svelato che la saliva contiene molte delle molecole che, quando si
trovano nel plasma, sono rivelatrici della presenza di malattie.
"Se non si analizza la saliva, si rischia di perdere importanti
indicatori di una malattia - ha detto il dottor Wong - Erano nascosti
nella saliva, cosa che ha sorpreso molti".
Gli studi hanno dimostrato che alcune molecole di RNA che si trova all'interno delle cellule
sono presenti anche nella salive e possono essere utilizzati per rilevare
malattia.
lunedì 24 novembre 2014
Il piccolo-grande dono concesso all’Associazione diabetici Maria SS: di Ripalta-Onlus: l’Orto Urbano
Il progetto degli “Orti Urbani” realizzato in
collaborazione dalla città di Cerignola, dall’ I.I.S.S. “G.Pavoncelli” e dalla
Provincia di Foggia per mettere in risalto l’importanza di attingere a prodotti
“made in sud”, è stato inaugurato il 15 novembre presso l’istituto agrario G.
Pavoncelli. Tra i molti enti che hanno potuto usufruire della donazione di un ager agricolo, emerge quello
dell’Associazione diabetici Maria SS. di Ripalta – Onlus, associazione
presieduta dal Sig. Vincenzo Tampone.
Occorre
sottolineare l’importanza che riveste
per un diabetico una dieta genuina ed
equilibrata, come quella mediterranea che attinge soprattutto alle verdure e
agli ortaggi. Un’alimentazione sana, infatti, oltre a migliorare il valore
dell’emoglobina glicosilata, riduce inoltre, l’insorgenza delle complicanze
associate alla patologia diabetica. In
qualità di associata non posso far altro che esprimere il mio senso di
gratitudine per il piccolo-grande “dono” che è stato concesso a noi pazienti
diabetici.
Sabina Digiovanni
sabato 22 novembre 2014
Relazione pericolosa diabete-udito
“Raddoppia il rischio di ipoacusia”
Ormai le cifre sono da ‘epidemia’: il numero di italiani che
convive con il diabete ha raggiunto i 4 milioni. E per tutti questi un rischio
doppio di sviluppare un disturbo dell’udito. Il diabete, quindi, va
‘ascoltato’: c’è infatti una relazione pericolosa’, troppo spesso
sottovalutata, tra diabete e ipoacusia. La mette in luce il Consensus Paper
“Diabete e Udito”, promosso da Amplifon e presentato oggi a Milano in una
conferenza stampa cui hanno partecipato anche importanti diabetologi. Si
calcola, infatti, che il 45% dei diabetici, quasi 1 su 2, abbia una perdita
uditiva, contro il 20% dei non diabetici. Gli esperti richiamano l’attenzione
su questa relazione, che può essere fortemente invalidante e che mette insieme
due emergenze sociali e globali in forte crescita: si stima che entro il 2035
ci saranno oltre 592 milioni di diabetici nel mondo, con una crescita del 55%,
mentre le persone con un disturbo dell’udito raddoppieranno entro il 2050,
superando il miliardo.
Un legame ignorato. Dalla cecità all’insufficienza
renale, dalla neuropatia alle malattie cardiache: molte sono le complicanze
associate alla patologia diabetica. Tuttavia, nonostante numerosi studi
scientifici abbiano fornito convincenti evidenze a supporto, ancora oggi
l’ipoacusia non è considerata tra le complicanze “ufficiali” del diabete e
spesso non viene diagnosticata o, peggio, viene sottovalutata e non curata
adeguatamente. “Gli studi hanno dimostrato che il diabete raddoppia il rischio
di andare incontro a una perdita uditiva, un disturbo con cui convivono 590
milioni di persone nel mondo, oltre 7 milioni in Italia. Il 65% dell’ipoacusia
che si riscontra nei diabetici - spiega Nicola
Quaranta, Professore di Otorinolaringoiatria, Azienda Ospedaliera
Universitaria Policlinico di Bari - riguarda le frequenze acute, mentre nel 26%
dei casi sono interessate le frequenze medio-gravi. Si tratta di dati
significativi, perché indicano che 2 diabetici su 3 hanno una perdita uditiva e
che in almeno 1 caso su 4 si rende necessario l’utilizzo di apparecchi
acustici. È quindi importante intervenire in modo tempestivo sui due fronti:
nei pazienti diabetici con test audiometrici di routine, nelle persone con un
disturbo dell’udito con controlli dei livelli della glicemia”. “Il diabete è
una patologia cronica – commenta il professor Salvatore Caputo, Presidente di Diabete Italia – e i pazienti
devono convivere con questa malattia 24 ore al giorno, 7 giorni alla settimana
per 365 giorni all’anno. Indubbiamente, si tratta di un ‘peso quotidiano’ a
causa delle restrizioni, delle regole e delle scadenze imposte dalla terapia e
dalle modifiche dello stile di vita. Se poi si aggiunge un deficit dell’udito
più o meno grave, spesso non considerato tra le complicanze del diabete e
quindi non diagnosticato, si assiste a un ulteriore peggioramento delle
condizioni dei pazienti. Ben venga, dunque, un Consensus Paper che permette di
aumentare la consapevolezza del legame tra diabete e ipoacusia, favorendo la
diagnosi precoce di un eventuale disturbo dell’udito e agli audiologi di dar
vita a strategie terapeutiche più adatte ai diabetici nella scelta e nel
fitting degli apparecchi acustici, considerando ad esempio la loro maggiore
sensibilità al trauma acustico o la loro predisposizione a manifestazioni e
infezioni cutanee”.
Un impatto al quadrato. Il diabete e
l’ipoacusia determinano, già singolarmente, un forte impatto negativo sulla
qualità di vita dei pazienti, ma la loro associazione può addirittura
moltiplicare la portata invalidante che i due disturbi hanno nella quotidianità,
nelle relazioni sociali e sul lavoro. “Non solo complicanze a carico dei nervi,
degli occhi e dell’apparato cardiovascolare: l’impatto del diabete - chiarisceFrancesco Giorgino, Professore di Endocrinologia e Malattie del
Metabolismo, Università degli Studi di Bari Aldo Moro - è notevole e comporta
anche la necessità di dover seguire una terapia cronica, con frequenti
iniezioni di insulina, e di effettuare periodici controlli medici. Anche i
disturbi dell’udito si associano a situazioni che tendono a peggiorare la
qualità di vita, come ad esempio la ridotta partecipazione alla vita sociale,
il rischio di deficit cognitivo, la depressione e i traumi. È quindi evidente
che, quando alle complicanze del diabete si aggiungono anche le problematiche derivanti
dall’ipoacusia, la persona può subire un netto peggioramento della propria
qualità di vita con maggior rischio di traumi o cadute al suolo, di isolamento
sociale, di peggioramento delle funzioni cognitive”.
Possibili cause. I meccanismi
attraverso cui il diabete si associa all’ipoacusia non sono ancora ben
conosciuti, ma gli esperti hanno recentemente messo in luce l’effetto che la
malattia ha sulla coclea (una porzione dell’orecchio interno). Il diabete,
infatti, provoca l’ispessimento delle pareti dei vasi sanguigni - con un
ingrossamento medio di circa 3 micrometri - e danneggia così la coclea, che
diventa incapace di convertire i suoni percepiti in impulsi nervosi. Una
seconda ipotesi, invece, mette in evidenza come il diabete possa agire direttamente
sui nervi, alterando la trasmissione dell’impulso a livello del nervo acustico
e delle vie uditive centrali. Gli esperti hanno anche identificato alcuni
fattori di rischio che nelle persone diabetiche favoriscono lo sviluppo di un
deficit dell’udito. Ad esempio, livelli di colesterolo HDL inferiori a 40 mg/dL
aumentano di 2,20 volte il rischio di sviluppare una perdita uditiva per le
frequenze medio-gravi. Le malattie coronariche e la neuropatia periferica,
invece, sono maggiormente associate allo sviluppo di ipoacusia per le frequenze
acute (rischio aumentato rispettivamente di 4,39 e di 4,42 volte).
Il diabete va ascoltato. Dal Consensus Paper
“Diabete e Udito” emerge chiaramente la necessità di inserire il test
audiometrico nel controllo annuale di un paziente diabetico e di far sì che
l’udito diventi un abituale argomento di discussione con il proprio medico.
Dall’altro lato, però, anche un deficit dell’udito può diventare una spia della
presenza di diabete ed è dunque opportuno monitorare le alterazioni della
glicemia nelle persone con ipoacusia, così da diagnosticare precocemente
un’eventuale condizione di diabete. “Trovare una soluzione all’ipoacusia fa
parte integrante del DNA di Amplifon. Il desiderio di fare cultura e di fare
luce su ogni aspetto dell’ipoacusia - dichiara Franco Moscetti, Amministratore
Delegato del Gruppo Amplifon - ci ha spinto, con questo Consensus Paper, ad
indagare la correlazione ipoacusia/diabete, poco conosciuta e spesso
sottovalutata. Le evidenze più recenti suggeriscono l’importanza di fare
informazione su questa associazione e la necessità di attuare strategie per
individuarla tempestivamente: così si possono mettere in atto soluzioni che
consentono il miglioramento della qualità di vita delle persone colpite da
questi due disturbi. Si tratta di un obiettivo perfettamente in linea con la
mission di Amplifon, leader mondiale nel settore delle soluzioni uditive, che
da oltre 60 anni si impegna per permettere alle persone di sentire meglio per
vivere meglio”. (GIOIA TAGLIENTE)
martedì 18 novembre 2014
Diabete: arriva FreeStyle Libre monitoraggio senza ‘pungidito’
In Italia, per un diabetico su due la puntura del dito è un buon motivo
per non testarsi e la maggioranza delle persone con diabete non misura
regolarmente la glicemia.

Nuova vita anche per il medico. “Questo sistema apre una nuova era nel
monitoraggio della glicemia poiché consente di controllare facilmente i livelli
di glucosio sfruttando una tecnologia avanzata con sensori da indossare, senza
usare lancette e senza pungere il dito - dichiara Emanuele
Bosi, professore associato Dipartimento ‘Endocrinologia e
Diabetologia’ Università Vita-Salute, S. Raffaele, Milano - FreeStyle Libre
elimina il peso del controllo della glicemia e permette alle persone con
diabete e ai medici di comprendere meglio il profilo glicemico e attuare le
migliori strategie terapeutiche per un’ottimale gestione del diabete”. Oggi in
Europa, circa 24 milioni di persone controllano ogni singolo giorno i propri
valori glicemici, più della popolazione di Roma, Parigi e Londra assieme. Il
sistema FreeStyle Libre elimina il peso del controllo continuo della glicemia e
permette alle persone con diabete e ai medici di capire meglio la malattia. “I
valori rilevati dal sensore vengono elaborati grazie all’Ambulatory Glucose
Profile (AGP), un software avanzato che riassume statisticamente i dati
standardizzati della glicemia e li visualizza graficamente, con un’interfaccia
chiara e intuitiva, in pattern glicemici giornalieri di immediata comprensione
- dichiara Stefano Genovese, responsabile
U.O. Diabetologia e Malattie Metaboliche, Multimedica IRCCS, Sesto San
Giovanni, Milano - Il software FreeStyle Libre può aiutare il medico a prendere
decisioni ottimali sulla terapia ed il paziente ad avere maggiore consapevolezza
della propria condizione. L’accesso a questo tipo di informazioni rende più
produttivo il dialogo medico-paziente e può consentire ai diabetologi clinici
una reale personalizzazione della terapia”. (STEFANO
SERMONTI)
http://www.liberoquotidiano.it/news/salute/11712992/Diabete--arriva-FreeStyle-Libre-.htmldomenica 16 novembre 2014
I Pistacchi combattono il diabete
E’ stato scientificamente dimostrato che i pistacchi
combattono il diabete riducendolo drasticamente meglio di ogni cura,ma tutti
tacciono,costano poco…
Pistacchi
contro diabete di tipo 2: arrivano nuove conferme dall’EuropeanCongress
on Obesity che si
è tenuto a Sofia, in Bulgaria, dal 28 al 31 Maggio. Una ricerca presentata nel
corso del convegno e promossa daAmerican Pistachio Growers, l’associazione ch
rappresenta i coltivatori di pistacchio USA, suggerisce che il
consumo di pistacchi potrebbe migliorare la resistenza all’insulina e quindi
proteggere contro il diabete di tipo 2. Lo studio è stato condotto dalla Dott.ssa Mònica Bulló ,
Human Nutrition Unit, Faculty of Medicine and Health Sciences, Pere Virgili
Institute for Investigating Health, Rovira i Virgili University, Reus, Spain, e
dai suoi colleghi.
“Questa ricerca costituisce un’ulteriore e utile indicazione
di come i pistacchi possano inserirsi vantaggiosamente nell’alimentazione
quotidiana.” – afferma il
professor Giorgio Donegani, presidente della Fondazione Italiana per l’Educazione
Alimentare – “Non soltanto per i conosciuti effetti antiossidanti e
protettivi verso le malattie cardiocircolatorie, ma anche per la prevenzione di
una patologia in preoccupante crescita come il diabete, spesso associata a uno
stile di vita poco sano, sia per quanto riguarda l’alimentazione sia per ciò
che concerne la scarsa attività fisica.“
Il consumo di frutta secca a guscio avrebbe così un effetto benefico su
patologie come il diabete di tipo 2 e le malattie cardiovascolari. La frutta
secca a guscio è infatti ricca di acidi grassi insaturi che sono stati
associati a un minor rischio di malattie croniche, come i disturbi
cardiovascolari. Inoltre, contiene altri composti bioattivi con proprietà
anti-infiammatorie e antiossidanti che sono benefici per la salute.
Alcune
evidenze ad oggi suggeriscono che il consumo di pistacchi può
migliorare il metabolismo del glucosio, ma non ci sono studi che al momento valutino l’effetto
della frutta secca a guscio sulla progressione del prediabete, uno dei fattori
di rischio per lo sviluppo di diabete vero e proprio. In questo studio, i
ricercatori avevano lo scopo di valutare l’effetto del consumo
frequente di pistacchi sul metabolismo del glucosio e la resistenza
all’insulina nei soggetti pre-diabetici. Afferma la dott.ssa Bullò : “La nostra ricerca
suggerisce che il consumo regolare di pistacchi ha un effetto importante
nel ridurre l’insulina e il glucosio, e potrebbe anche aiutare a contrastare
alcune conseguenze metaboliche negative del pre-diabete“.
Lo studio 54 persone sono state destinate a seguire per 4
mesi una dieta di controllo (CD) o una dieta ricca di pistacchi (PD,
con 57g di pistacchi al giorno). Lo studio ha previsto 4 mesi di intervento per ciascuna
dieta, con un periodo di riposo di due settimane: i partecipanti sono stati
sottoposti a una delle due diete CD o PD per quattro mesi, con una pausa di due
settimane, per poi sperimentare l’altra nei 4 mesi successivi. Le diete
sono state adeguate per calorie e non differivano nella quantità di acidi
grassi saturi e colesterolo. All’inizio e mensilmente, sono stati valutati
parametri come le misure corporee, la pressione arteriosa, le abitudini alimentari
e l’attività fisica. I campioni di sangue sono stati raccolti prima, all’inizio
e alla fine di ogni periodo di intervento.
I ricercatori hanno scoperto che non
si sono verificate variazioni statisticamente significative nel BMI (indice di
massa corporea) tra i periodi di osservazione. Il livello di
glucosio a digiuno, l’insulina e i marcatori di insulino resistenza sono
diminuiti significativamente dopo la dieta con pistacchio rispetto alla
dieta di controllo.
Rispetto ai partecipanti al gruppo CD , quelli del gruppo PD hanno mostrato una
non statisticamente significativa diminuzione dei valori dell’emoglobina
glicosilata (HbA1c), e una più alta ma non significativa riduzione nei livelli
di colesterolo cattivo LDL , che è diventata però significativa quando
alcuni partecipanti sono stati esclusi dalle analisi (5 partecipanti hanno
abbandonato lo studio per motivi personali). Altri marker di rischio metabolico
come fibrinogeno, GLP – 1, LDL ossidato e fattore piastrinico hanno
mostrato tutti una riduzione statisticamente significativa dopo la dieta con
pistacchio rispetto alla dieta controllo. Gli autori concludono: “Il
consumo regolare di pistacchi potrebbe diminuire la resistenza all’insulina
suggerendo un potenziale ruolo protettivo del pistacchio contro lo sviluppo del
diabete di tipo 2 .”
venerdì 14 novembre 2014
Diabete, un piano nazionale da attuare davvero
Un progetto
ambizioso, che dovrebbe portare a un approccio sempre più integrato
alla malattia, con lo scopo di disegnare le terapie sempre più «su misura»
di Luigi Ripamonti shadow
Un adagio molto popolare fra i diabetologi recita: «non è
il diabetico che costa, ma il diabetico con complicanze». È vero: un diabetico
ben controllato costa al Servizio sanitario nazionale più o meno come una
persona che il diabete non ce l’ha. E proprio perché i diabetici fossero ben
controllati è stato emanato circa un anno fa il Piano Nazionale sulla Malattia
Diabetica. Un progetto ambizioso, che dovrebbe portare a un approccio sempre
più integrato alla malattia, con lo scopo di disegnare le terapie sempre più
«su misura» rispetto alle esigenze dei singoli pazienti, terapie che possono
essere anche sensibilmente diverse. Una cura personalizzata avrebbe il
vantaggio di essere più efficace, meglio seguita e meglio tollerata, il che
comporterebbe anche un vantaggio economico per l’intero sistema.
Ottime premesse e saggi obiettivi. Ma in quale
misura il progetto è stato attuato? Dopo un anno la risposta è,
come al solito nel nostro Paese: qui un pò di più, là un po’ meno. Insomma,
siamo alla solita copertura “a macchia di leopardo”. Con una variante
sorprendente: stavolta alcune delle Regioni in genere «virtuose» risultano a
prima vista più in ritardo di altre che di solito si guadagnano voti bassi
nella pagella dell’efficienza. Salvo scoprire che, in realtà, alcune di queste,
sulla carta prontissime a rispondere «sissignore», hanno invece provveduto
magari a girare fondi destinabili al Piano sul diabete ad Asl con i conti in
profondo rosso, tagliando aiuti già in essere per i diabetici.
Non che il Piano per il Diabete sia di facile
attuazione. La distribuzione dei ruoli e delle responsabilità fra
specialisti, medici di medicina generale, ospedali, servizi territoriali, è
oggetto di discussioni anche molto vivaci e ci vorrà del tempo per trovare la
quadratura del cerchio. Resta il fatto che una governance efficace del diabete
è una priorità, non solo in Italia ma in tutto il mondo occidentale, perché i
numeri della malattia sono in crescita costante, e l’impatto economico importantissimo,
specie in uno Stato con sistema sanitario solidaristico universale come il
nostro è (e vorremmo restasse). E, con un apparente paradosso, l’unica
strategia possibile per sopportare l’urto dei costi è metterli in secondo piano
rispetto all’attenzione alla salute del paziente. Perché una buona medicina, lo
dimostrano decine di studi economici, costa molto meno di una medicina non
buona, che è quasi sempre una medicina che spreca risorse.
giovedì 6 novembre 2014
Friggere
i cibi rappresenta uno dei metodi di cottura preferiti in tutto il mondo ma
attenzione a non mangiare cibi
fritti ogni
giorno, poiché è pericoloso per la salute: le donne infatti che lo fanno hanno
un rischio raddoppiato di sviluppare il diabete
durante la gravidanza. Lo rivela un nuovo studio condotto presso
l’Università di Harvard, negli Stati Uniti d’America.
Per
giungere a tali risultati, i ricercatori hanno esaminato lo stile di vita di
oltre 15 mila donne per un
periodo di ben dieci anni, ed è emerso che la possibilità di sviluppare il
cosiddetto diabete
gestazionale è molto più alto per coloro le quali mangiano cibo fritto ogni giorno. Nello
specifico le donne che scelgono di consumare frittura sette giorni su sette
hanno l’88% di possibilità in più di entrare in questa condizione rispetto a
chi invece lo fa meno di una volta alla settimana.
Questo
tipo di diabete si verifica quando le donne incinte non riescono a produrre una
sufficiente quantità di insulina, dunque il livello di glicemia diventa di
conseguenza troppo alto; il diabete
gestazionale è
pericoloso se non viene scoperto e curato poiché può portare a un parto prematuro, alla
nascita di un bambino troppo grande e – nei casi più gravi – anche alla morte
del neonato subito dopo il parto.
Qual
è la causa che porta
al diabete gestazionale? Secondo i ricercatori dell’Università di Harvard, la
frittura rilascia sostanze chimiche nocive nel cibo che influenzano il modo con
cui il corpo controlla lo zucchero
nel sangue.
Peraltro, come è già ampiamente noto, i cibi fritti portano a un facile aumento
di peso: spiega infatti il dottor Richard Elliott del Diabetes UK che «questo
studio non dimostra che mangiare cibi fritti è una causa diretta del diabete
gestazionale, ma mette in evidenza il legame tra una dieta non sana e un
aumento di peso nello sviluppo della condizione».
È
dunque particolarmente importante scegliere uno stile di vita alimentare più
sano, soprattutto per chi sta aspettando
un bambino:
meglio evitare qualsiasi rischio usando altri metodi di cottura più salutari
(come ad esempio al vapore o alla griglia) e in generale mangiando bene e in modo equilibrato, senza troppi
eccessi.
lunedì 3 novembre 2014
Diabete Tipo 1, le staminali offrono nuove speranze
le cellule staminali sono state spinte a diventare
cellule B pancreatiche. Potrebbe significare la fine delle iniezioni di
insulina per milioni di persone.
La notizia è
grande, grandissima e davvero importante: se tutto va bene, in futuro nessun
bambino dovrà più crescere con un pancreas compromesso, costretti a iniezioni di insulinaper sopravvivere. Milioni di persone affette
da diabete di tipo 1 potrebbero vedere la propria vita cambiata,
grazie alla ricerca Douglas Melton, scienziato di Harvard.
I suoi due figli
sono nati entrambi con il diabete di tipo uno, e lui - specializzato proprio
nelle staminali - ha fatto quello he ha potuto come padre e come scienziato.
Dopo 15 anni di fatiche, ha pubblicato gli esiti della sua ricerca. Si tratta
di una procedura delineata passo-passo, che parte dalle cellule staminali e
finisce per creare miliardi di cellule B pancreatiche, creatrici della preziosa insulina.
Secondo i membri
del suo team di Harward, sarà possibile in futuro creare dei “bioreattori” in grado di produrre quantità “scalabili” di
cellule beta, e di impiantarle sui pazienti in capsule capaci di difenderle dal
sistema immunitario.
Come sempre con
queste notizie - e questo pesa molto allo stesso Melton, che ha un doppio
interesse personale nel vedere la ricerca raggiungere la fase di test sugli
esseri umani - si parla sempre di anni e anni di attesa. “Siamo davvero stufi di curare i topi” dice il ricercatore “[…] Ma ho grandi speranze sulla totalità del
successo di questo piano a lungo termine”.
E i topi, infatti,
non sono più gli unici ad essere oggetto di sperimentazione. Grazie a una
collaborazione con l’università di Chicago, infatti, si è potuto avere accesso ai primati. È troppo presto per parlare di Nobel? Forse.
Ma solo di qualche anno.
Come dice Chris Mason, professore esperto di medicina rigenerativa
presso l’University College of London: “Un progresso scientifico è creare cellule che
guariscono a tutti gli effetti un topo diabetico. Un progresso medico è invece
essere in grado di produrre cellule a un livello tale da guarire tutti i
diabetici. Questa ricerca, insomma, è un progresso scientifico, e in potenza un
progresso medico”.
Le ricerche collegate di Dieter Egli e Daniel Anderson
Il lavoro di
Melton è anche un motore di innovazione, una scarica di energia nella comunità
della ricerca sul diabete. Dieter Egli, ricercatore della Columbia University è
infatti stato in grado di creare cellule staminali embrionali a partire da un
individuo affetto da diabete di tipo 1. Il suo prossimo progetto comprende il
passo successivo, applicare il procedimento passo-passo di Melton per creare
cellule beta pancreatiche.
E nel frattempo al
MIT, Melton ha creato una collaborazione con il bio-ingegnere Daniel Anderson per superare il problema successivo: impedire
al sistema immunitario di aggredire le nuove cellule beta.
Se pensiamo
all’impatto sociale futuro di questa ricerca, pare davvero di aver messo le
mani su una sorta di Santo Graal, e per una volta non si tratta di
sensazionalismo.
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