sabato 30 agosto 2014

Diabete: l'insulina degludec riduce le ipoglicemie notturne


di Roberta Camisasca
Pubblicato il: 18-06-2014

Sanihelp.it - Nuovi dati presentati alle 74th Scientific Sessions della American Diabetes Association dimostrano che l’insulina basale degludec - rispetto all’insulina glargine - riduce significativamente gli episodi di ipoglicemia notturni nelle persone con diabete di tipo 2, indipendentemente da come questi vengano identificati secondo le diverse definizioni attualmente in uso. Questa riduzione, anche se non statisticamente significativa, si evidenzia anche nelle persone con diabete di tipo 1.

Il problema delle ipoglicemie è molto diffuso e interessa molte persone con diabete. A spaventare di più sono le ipoglicemie notturne, perché quando si dorme non ci si rende conto dei sintomi e non si può quindi intervenire per riportare il glucosio nel sangue a un livello sufficiente per il corretto funzionamento dell’organismo.

A tal proposito lo studio HYPOS-1 rivela che, fra coloro che riferiscono episodi di ipoglicemia, uno su quattro ha avuto almeno un episodio di ipoglicemia sintomatica notturno nel corso degli ultimi 12 mesi.

I dati presentati all’ADA, analizzando un’ampia casistica di possibili situazioni definibili come ipoglicemia notturna, mettono in luce come la riduzione del numero di questi eventi dovrebbe poi riscontrarsi nella pratica clinica e non solo in condizioni di studio scientifico.

Nelle persone con diabete tipo 2 in trattamento per la prima volta con insulina, il rischio di ipoglicemia notturna con insulina degludec era inferiore rispetto a insulina glargine del 27%, considerando gli eventi secondo la definizione ADA, episodi sintomatici con glicemia inferiore a 70 mg/dl tra mezzanotte e le 6 del mattino, e del 44% quando il valore soglia era inferiore a 56 mg/dl.

Nelle persone con diabete tipo 2 in trattamento basal-bolus, il rischio di ipoglicemia notturna con insulina degludec era inferiore rispetto a insulina glargine del 25% considerando gli episodi di ipoglicemia avvenuti tra mezzanotte e le 6 del mattino, con valori di glicemia inferiori a 56 mg/dl auto-dichiarati dalle persone oggetto dello studio oppure gli eventi gravi che avessero richiesto un aiuto da parte di terzi, e del 32% valutando esclusivamente il valore soglia inferiore a 56 mg/dl.

Nelle persone con diabete tipo 1, il tasso di ipoglicemie notturne con insulina degludec era numericamente inferiore rispetto a insulina glargine del 9% considerando gli eventi secondo la definizione ADA, del 17% considerando quelli avvenuti tra mezzanotte e le 6 del mattino, con valori di glicemia inferiori a 56 mg/dl auto-dichiarati dalle persone oggetto dello studio oppure gli eventi gravi che avessero richiesto un aiuto da parte di terzi.

venerdì 22 agosto 2014

Diabete e ipertensione nella mezza età possono portare alla perdita di funzioni cerebrali

Roma, 5 mag. - Un nuovo farmaco promette, per la prima volta, di normalizzare il metabolismo dei pazienti con diabete di tipo 1 e di preservarne le beta-cellule funzionanti, ovvero le cellule del pancreas responsabili della produzione d'insulina. In base ai riscontri sperimentali, il farmaco riesce non solo ad ottimizzare il controllo metabolico del diabete, riducendo le crisi ipoglicemie e migliorando i livelli di emoglobina glicata, ma anche a ridurre la reazione auto-immunitaria che distrugge normalmente le beta-cellule rimanenti, preservandone in questo caso la funzionalita'.
  Sviluppato nei laboratori dell'azienda israeliana Andromeda Biotech, DIAPEP277 a questo il nome del principio attivo prodotto con un peptide che deriva dal sequenziamento della proteina umana HSP-60 a ha appena superato la fase 3 di una sperimentazione internazionale durata due anni e coordinata per l'Italia dall'Unita' Operativa di Endocrinologia e Malattie Metaboliche dell'Universita' Campus Bio-Medico di Roma. Il farmaco e' stato somministrato entro i primi tre mesi dalla diagnosi a 467 pazienti dai 16 anni in su. I risultati dello studio sono stati appena pubblicati in due articoli scientifici su 'Diabetes Care', rivista ufficiale dell'American Diabetes Association. "Altri studi gia' condotti negli Stati Uniti a ha spiegato Paolo Pozzilli, Direttore dell'Unita' Operativa di Endocrinologia e Malattie Metaboliche del Campus Bio-Medico e tra i principali autori dei due articoli a hanno dimostrato che pazienti che conservano una residua funzione delle betacellule non vanno incontro, anche dopo vent'anni dalla diagnosi della malattia, a complicanze come retinopatia, neuropatia o nefropatia diabetica". "Questo principio attivo, favorendo proprio la conservazione delle betacellule, promette quindi di risparmiare al paziente diabetico le complicanze citate", ha concluso Pozzilli. In termini di qualita' di vita, va sottolineato che l'assunzione del principio attivo avvenga una sola volta al mese, sottocute, e possa essere effettuata dal paziente stesso, senza necessita' di personale e strutture sanitarie. (AGI) .


giovedì 14 agosto 2014

Diabete di tipo 2: quando l'insulina è davvero efficace e necessaria?

Un recente ma controverso studio indica che l’assunzione del farmaco aumenterebbe il rischio di mortalità. I pro e i contro della terapia spiegati dal presidente di Diabete Italia
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“Perché il dottore mi dice che devo prendere l’insulina? Ho il diabete di tipo 2, mica di tipo 1”. “ Ma è proprio necessario passare alle iniezioni, così fastidiose e poco pratiche?” “ E se ci sono effetti collaterali?”  Sono interrogativi legittimi, tra i tanti, che attanagliano i diabetici ai quali è stata prescritta la terapia insulinica in aggiunta a quella con ipoglicemizzanti assunti per via orale
Certo che a leggere lo studio pubblicato sull’autorevole rivista scientifica Jama dell’11 giugno , i dubbi appena citati non spariscono. Anzi, c’è da rimanere quantomeno perplessi: le conclusioni infatti recitano che “tra i pazienti con diabete di tipo 2 che ricevevano metformina (il più usato ipoglicemizzante orale, cioè un tipo di pastiglie per abbassare la glicemia n.d.a.) , l'aggiunta di insulina rispetto a una sulfonilurea (altro ipoglicemizzante orale) è stato associato ad un aumentato rischio di eventi cardiovascolari non fatali e di mortalità per molteplici cause”.
Eppure l’insulina, farmaco indispensabile per chi è affetto da diabete di tipo 1, è spesso usata come coadiuvante anche per chi soffre di quello di tipo 2.
Christianne L. Roumie della Vanderbilt University di Nashville assieme ad altri colleghi medici, afferma invece nell’articolo apparso su Jama, che dai dati estrapolati retrospettivamente da tre database statunitensi su scala nazionale si evince come la somministrazione di insulina incrementi il rischio di mortalità.
I ricercatori americani hanno comparato i risultati di due terapie contro il diabete su un campione preso da centottantamila pazienti (per lo più veterani di guerra) in cura con la sola metformina nel periodo tra il 2001 e il 2008. Per quattordici mesi a un gruppo di duemilacinquecento di loro è stata aggiunta l’insulina, mentre ad altri dodicimila la sulfonilurea. Quale trattamento si è rivelato migliore? Dopo un follow-up di altri quattordici mesi, il gruppo che aveva ricevuto metformina abbinata all’insulina ha mostrato un tasso più alto di decessi per svariate cause, mentre i casi di ictus, infarto e altre patologie cardiovascolari (sia mortali sia non fatali) è rimasto pressoché identico nei due campioni di individui censiti.
Dunque l’insulina fa male o no? Panaorama.it ha interpellato il professor Salvatore Caputo, responsabile di Diabetologia al Policlinico Gemelli di Roma e presidente di Diabete Italia, chiedendo di fare chiarezza su uno degli argomenti più controversi (l’uso dell’insulina) e su cui sovente anche i diabetici stessi nutrono molte incertezze poiché molto spesso non ricevono le corrette informazioni sui rischi e benefici.

Professore, cominciamo dall’inizio: in quali casi è richiesta la somministrazione di insulina per chi affetto da diabete di tipo 2?
Questa terapia, in associazione alla metformina, si applica per aggredire la malattia, cioè per diminuire il valore dell’emoglobina glicosilata, comunemente detta glicata, che è l’indicatore della concentrazione media di glucosio nel sangue sul lungo periodo, quando rimane troppo elevato per parecchi anni.  Quanto più a lungo questo valore resta alto, più è poi difficile abbassarlo. Ecco perché nel diabete di tipo 2 l’insulina funziona molto bene ai primissimi esordi della patologia.

E quando invece è sconsigliata?
In presenza di problemi cardiovascolari. Se non accadono episodi di questo genere, allora vale la pena, come dicevo, aggredire il diabete e l’insulina lo fa in modo efficace.

Ma quando si passa all’insulina, poi si può ritornare a una terapia di soli farmaci orali?
Purtroppo no. Spesso il passaggio all’insulina è irreversibile, tipicamente perché ci si arriva troppo tardi, quando la malattia è già in fase avanzata.

Ma non è che spesso viene prescritta con troppa facilità dai diabetologi, proprio per raggiungere risultati più rapidamente, quando basterebbe solo l’ipoglicemizzante orale?
La somministrazione di insulina in aggiunta a farmaci orali fa parte delle linee guida in vigore negli ultimi quindici anni. È stato dimostrato che la combinazione dei due farmaci diminuisce il tasso di mortalità.

Però lo studio pubblicato su Jama sembra invece rivelare il contrario...
Ci sono tre punti da chiarire. Primo, non c’è differenza nel numero di infarti ed ictus nei due gruppi trattati con terapie diverse. Le cause di morte, nel campione che assumeva metformina più insulina, sono dovute a tumori, suicidi, eventi traumatici e altre malattie non diagnosticate ma non riconducibili all’accoppiamento dei due farmaci. Molti decessi sono avvenuti anche per ipoglicemia non diagnosticata in tempo. In secondo luogo la popolazione era in pessime condizioni di salute all’inizio dello studio. Si tratta infatti di reduci di tutte le guerre recenti (Irak e Afghanistan in prevalenza) che si prestano molto bene ai lavori di ricerca medica di tipo statistico perché sono monitorati spesso e costantemente dalle associazioni preposte, ma non sono tuttavia rappresentativi della popolazione reale. Il 9 per cento di loro infatti aveva un tumore, il 34 una patologia cardiovascolare e un altro 30 per cento soffriva di malattie mentali come il disturbo post traumatico da stress. Mi passi il termine, ma in un campione così “acciaccato” la somministrazione di insulina è assolutamente controindicata. E infine bisogna evidenziare che almeno la metà dei soggetti esaminati aveva la glicata già molto alta, sopra l’otto per cento (la soglia oltre la quale il diabete non è sotto controllo equivale al 6,2 percento).

Quindi questa ricerca non ha valore?
Al contrario. Come tutti i lavori osservazionali, cioè basati sull’interpretazione di dati, ci dice alcune cose molto importanti. Innanzitutto proprio che intensificare la terapia con l’insulina a chi già faceva uso di metmorfina si è rivelato inefficace o perlomeno del tutto identico all’abbinamento di una sulfonilurea, perché le condizioni di partenza erano già critiche.

Allora lo studio conferma che l’uso in determinate circostanze è da sconsigliare?
Esattamente. È una controprova dei requisiti che un soggetto dovrebbe avere per seguire una terapia a base di metformina e insulina. Sa cosa diceva Joslin, il padre della moderna diabetologia, riferito a noi medici? “L’insulina è il farmaco per il saggio, non per il folle”



sabato 9 agosto 2014

Diabete: rischio genetico legato a riciclo cellulare difettoso

18:23 20 GIU 2014


(AGI) - Washington, 20 giu. - Scoperta associazione tra rischio genetico per il diabete di tipo 1 e riciclo cellulare difettoso. E' quanto emerso dai dati di un nuovo studio dell'Universita' del Michigan e dell'Universita' della Pennsylvania che ha identificato un gene che in certe condizioni distrugge la capacita' delle cellule beta di produrre insulina, inducendo l'insorgenza della malattia metabolica. La perdita della funzionalita' delle cellule beta pare sia guidata da un difetto nel Clec16a, gene che si sbarazza dei vecchi mitocondri, le centrali energetiche delle cellule, dando spazio ai nuovi. Mitocondri sani sono essenziali per permettere alle cellule beta di produrre insulina e di controllare i livelli di zucchero nel sangue.
  "Proteggere le cellule beta e' la priorita' assoluta delle terapie del diabete", ha spiegato Scott Soleimanpour, tra gli autori della ricerca, sulla rivista Cell. "L'identificazione di questo nuovo percorso ci permettera' di lavorare su inedite terapie per la conservazione dei mitocondri sani all'interno delle cellule beta per trattare o prevenire sia il diabete di tipo 1 sia quello di tipo 2", ha concluso. (AGI) 


lunedì 4 agosto 2014

Diabete, farmaci e costi: il punto presso l’Azienda Ospedaliera

Sabato 17 maggio si parla del trattamento del diabete. Egle Ansaldi: “Il nostro compito è garantire al paziente la migliore cura disponibile, ma oggi dobbiamo anche tener conto della sostenibilità economica”

ALESSANDRIA - Sabato 17 maggio presso il Salone di Rappresentanza dell'ospedale si terrà il corso Aspetti farmacoeconomici e trattamento del diabete a partire dalle 8.30 nell’appuntamento promosso dalla dottoressaEgle Ansaldi, responsabile dell’Endocrinologia/Diabetologia (nella foto). Le terapie farmacologiche di malattie croniche ad alto impatto epidemiologico, come il diabete, l’ipertensione, l’osteoporosi sono molto impattanti sui budget economici delle aziende sanitarie. Spiega la dottoressa Ansaldi: “Il nostro compito è garantire al paziente la migliore cura disponibile, ma oggi dobbiamo anche tener conto della sostenibilità economica. Il corso ha quindi lo scopo di favorire un confronto tra specialisti sulla gestione e terapia del paziente diabetico fornendo un approfondimento dal punto di vista farmacoeconomico. Il confronto fra gli specialisti coinvolti deve essere spunto per migliorare il proprio approccio professionale e multifattoriale nella conduzione del paziente diabetico”.

Il farmaco è considerato uno dei costi sanitari della gestione clinica delle patologie, quindi occorre prestare attenzione al suo appropriato utilizzo. Potenziare il governo clinico del paziente diabetico attraverso l’attuazione del “Piano Nazionale del Diabete” e delle linee guida regionali, è l’obiettivo dei prossimi anni, per rispondere in modo sempre più appropriato ed efficiente alla richiesta di cura dei malati.