sabato 31 gennaio 2015

L’obesità porta anche al diabete :Uno studio italiano spiega come

Arriva da uno studio italiano, frutto della ricerca della Società Italiana di Diabetologia appena pubblicato su Diabetes Care, un altro tassello di conoscenza che consente di spiegare la relazione tra l’incremento dell’obesità e quello del diabete autoimmune: secondo i ricercatori l’obesità contribuisce ad uccidere le cellule del pancreas, attraverso una reazione autoimmune, cioè attraverso la produzione di auto-anticorpi che distruggono lentamente le cellule beta, produttrici di insulina. Il NIRAD è una forma particolare di diabete che si colloca a metà strada tra i due pilastri classici della classificazione: il tipo 1 che compare nei giovani ed è causato dalla distruzione autoimmune delle cellule pancreatiche (in Italia interessa circa 200 mila persone) e il tipo 2, dovuto invece ad una resistenza dei tessuti periferici ai ‘comandi’ impartiti loro dall’insulina e al progressivo esaurimento della funzione del pancreas; quest’ultimo, il più frequente (in Italia interessa oltre 3,7 milioni di persone) si accompagna molto spesso a sovrappeso e obesità. Il diabete di tipo 1 si tratta subito con l’insulina; il tipo 2 si tratta con farmaci anche per molti anni (farmaci che aumentano la sensibilità dei tessuti all’insulina e altri che stimolano il pancreas a produrre più insulina), per poi arrivare gradualmente alla terapia con insulina. I paziente che sono affetti da diabete NIRAD sono apparentemente indistinguibili dai classici pazienti di tipo 2 (adulti, che presentano resistenza insulinica, sono in sovrappeso o obesi) ma nel loro sangue sono presenti autoanticorpi diretti contro le cellule pancreatiche, che li rendono simili ai pazienti di tipo 1; i pazienti NIRAD tuttavia possono essere trattati con i farmaci in compresse per molti anni e arrivano al trattamento con insulina molto più lentamente dei ‘tipici’ soggetti con diabete di tipo 1.
Lo studio italiano. Uno studio condotto da un gruppo di ricercatori dell’Università ‘Sapienza’ di Roma coordinato dalla professoressaRaffaella Buzzetti e finanziato da ‘Diabete ricerca’ onlus – la fondazione della Società Italiana di Diabetologia dedicata a supportare studi scientifici – ha valutato l’esistenza di una possibile correlazione tra la frequenza di comparsa e la tipologia di autoanticorpi (gli stessi presenti nei soggetti con diabete di tipo 1), espressi nel sangue dei pazienti con diabete di tipo NIRAD e la loro massa corporea. Sono stati studiati 1850 pazienti affetti da diabete di tipo 2 appartenenti alla coorte del progetto NIRAD che sono stati suddivisi, a seconda dell’indice di massa corporea (parametro che si calcola moltiplicando il peso in chili, per il quadrato dell’altezza in metri: Kg/m2) in tre gruppi: normopeso (<25), sovrappeso (da ≥25 a <30) e obesi (≥30 kg/m2). In tutti è stata ricercata la presenza di anticorpi diretti contro le cellule beta del pancreas produttrici di insulina. Il 6,5% del totale delle persone studiate (120 soggetti) sono risultate portatrici di almeno un tipo di anticorpo diretto contro le cellule beta pancreatiche. Ma gli unici autoanticorpi che aumentano in maniera proporzionale all’aumentare della massa corporea nei pazienti con diabete di tipo 2, sono risultati quelli tipo IA-2(256-760). I pazienti obesi, con diabete di tipo 2, portatori di questo particolare tipo di autoanticorpo, presentavano anche una più ampia circonferenza del punto vita, più elevati valori di acido urico e di colesterolo totale e mostravano una più lenta progressione verso il trattamento con insulina rispetto ai soggetti che presentano anticorpi anti-GAD. Nessuno dei pazienti con diabete di tipo 2 obesi, portatori di questi autoanticorpi è infatti arrivato al trattamento con insulina, durante i 7 anni di follow up, rispetto al 60% di quelli portatori di altri autoanticorpi. E’ come se gli anticorpi IA-2(256-760) fossero insomma ‘spuntati’, meno aggressivi degli altri verso le isole pancreatiche.

L’opinione degli esperti. Una possibile spiegazione potrebbe essere che lo scatenamento di questo ‘fuoco amico’ sia secondario al processo infiammatorio cronico, alla base del danno alle cellule beta, che si verifica nei pazienti di tipo 2 obesi. L’obesità viscerale rappresenta infatti uno dei principali fattori di rischio per il diabete di tipo 2, perché provoca uno stato di infiammazione cronica che contribuisce a determinare sia l’insulino-resistenza che la graduale distruzione delle cellule beta pancreatiche. “Questo studio – afferma la professoressa Buzzetti – offre spunti rilevanti in quanto suggerisce che l’obesità è in grado di favorire lo stato infiammatorio alla base di molte malattie autoimmuni”. Gli autori ritengono dunque che gli anticorpi IA-2(256-760) rappresentino un marcatore di un tipo particolare di diabete, che potrebbe avere un meccanismo di origine diverso dal diabete di tipo 2 ‘classico’. E’ noto da tempo che le persone obese sono più suscettibili alle malattie autoimmuni. L’obesità rappresenta infatti una condizione pro-infiammatoria, caratterizzata da un eccesso di un tipo particolare di globuli bianchi, i linfociti Th17, gli stessi che si trovano attivati ed ‘esuberanti’ in diverse malattie autoimmuni, dall’artrite reumatoide alla sclerosi multipla, alla psoriasi, al diabete di tipo 1. Queste cellule sono per loro natura molto ‘instabili’ e possono trasformarsi facilmente in linfociti Th1 e Th2, responsabili di tante malattie dovute ad un ‘attacco’ autoimmune. Lo studio pubblicato su Diabetes Care è stato realizzato con il supporto della ‘Fondazione Diabete e Ricerca’ onlus della Società Italiana di Diabetologia e finanziato con un grant non condizionato della Novo Nordisk Italia. "I risultati di questo studio – afferma il presidente della SID professor Enzo Bonora – sottolineano ancora una volta da un lato la complessità del diabete e dall'altra la grande qualità della ricerca diabetologica italiana e il ruolo chiave che in questo tipo di ricerca svolge la Società Italiana di Diabetologia".

martedì 27 gennaio 2015

Le mandorle aiutano a controllare il peso e il diabete

Malattie cardiache più improbabili con il consumo della frutta secca



Poche mandorle al giorno aiutano a mantenere la linea, a controllare i livelli di colesterolo e prevengono l'eventuale insorgenza del diabete. La quantità magica sarebbe di 42 grammi al giorno, il cui consumo aiuterebbe a ridurre il rischio complessivo di morte precoce.
I ricercatori della Pennsylvania State University sono giunti a queste conclusioni confrontando le diete di 52 persone in sovrappeso, di mezza età e con colesterolo alto, per un periodo di 12 settimane.
La ricerca, pubblicata sul Journal of the American Heart Association, ha proposto a metà dei soggetti di mangiare muffin alla banana per 6 settimane, garantendosi un apporto calorico pari a quello fornito dalle mandorle, mangiate invece dall'altra metà del campione.
Non sono emerse differenze a livello di peso corporeo alla fine della sperimentazione, ma il gruppo che aveva consumato le mandorle mostrava una riduzione significativa del grasso che si accumula sul girovita e sulle gambe. Inoltre, i frutti secchi avevano ridotto il colesterolo, limitando di fatto anche il rischio di insorgenza delle malattie cardiache.
Un'altra ricerca conferma l'efficacia delle mandorle nella prevenzione del diabete. Si tratta di uno studio dell'Università del New Jersey, i cui scienziati hanno pubblicato un articolo apparso sul Journal of the American College of Nutrition.
Stando agli esiti della ricerca, le mandorle renderebbero meno probabile l'insorgenza della patologia nei pazienti classificati come pre-diabetici, ovvero quei soggetti che mostrano una percentuale di glucosio superiore al normale ma che ancora non ha raggiunto il livello di guardia. I ricercatori hanno analizzato 65 pazienti, sottoponendoli a due diete diverse, la prima delle quali prevedeva il consumo di un certo quantitativo di mandorle.
Alla fine, si è scoperto che i pazienti del primo gruppo mostravano una migliore gestione dei livelli di glucosio e una maggiore sensibilità all'insulina, oltre a una percentuale inferiore di colesterolo Ldl, ovvero quello definito “cattivo”. In realtà, anche altri tipi di frutta secca mostrano un'influenza positiva su quest'ultimo aspetto, addirittura in percentuali maggiori, come nel caso dei pistacchi.
Uno dei ricercatori che ha partecipato allo studio, Michelle Wien, spiega: “è molto promettente il fatto che per malattie croniche come questa i cambiamenti nella dieta possano giocare un ruolo nell'avanzamento della malattia".

venerdì 23 gennaio 2015

Il diabete peggiora la salute dei denti

I malati di diabete mellito sono 2 o 3 volte più a rischio di contrarre una malattia parodontale infettiva, soprattutto nella fasi di ipoglicemia e iperglicemia, quando, cioè, la glicemia non è tenuta sotto controllo, e rischiano di veder peggiorare la malattia nel 37% dei casi, contro un’incidenza dell’11% tra la popolazione non diabetica. 
In Italia i diabetici sono oltre 3 milioni, senza considerare un ulteriore milione di persone che ha il diabete ancora non diagnosticato. L’incidenza della mortalità è di circa 27.000 morti ogni anno e il costo di questa malattia è elevato, sia in termini economici, sia sociali.
Per questi malati, contrarre parodontiti può comportare l’insorgere di complicazioni anche gravi. Nelle lesioni parodontali, infatti, si trovano elevate concentrazioni di batteri patogeni Gram-negativi in grado di penetrare i capillari delle gengive ed entrare in circolo nell’organismo, dando origine a episodi di batteriemia e immissione in circolo di tossine. 
Le persone che soffrono di parodontite hanno la tendenza a sviluppare stati infiammatori nell’intero organismo, riscontrabili anche a livello ematico, tendenza accentuata in chi soffre di diabete.
Avere un’infiammazione elevata costante costituisce una fonte di stress per l'organismo e da questa situazione possono nascere disturbi ben più gravi come malattie aterosclerotiche o, addirittura, si può rischiare un infarto miocardico.

I dentisti consigliano di sottoporsi regolarmente a visite di controllo dall'odontoiatra, ma per quanto riguarda i diabetici, questo invito diventa ancora più importante. Inserire un diabetico in un programma di controllo e cura dentale può tradursi in una riduzione del costo delle cure del 20%.
di Roberta Camisasca

martedì 20 gennaio 2015

Farmaci per tumori, disturbi cardiaci e diabete: risparmio e più servizi

Grazie ad un accordo tra Assessorato alla Sanità e Federfarma i medicinali potranno essere a disposizione nella farmacia sotto casa (e non a quella dell'ospedale) e con un grande risparmio, anche del 52%, per le casse del sistema sanitario regionale
Ansa News



Vita più facile per i pazienti che devono ricorrere a farmaci per patologie come tumori, disturbi psichici, cardiaci o diabete. E anche meno spese per gli utenti e la stessa Regione Sardegna. Grazie ad un accordo tra Assessorato alla Sanità e Federfarma i medicinali potranno essere a disposizione nella farmacia sotto casa (e non a quella dell'ospedale) e con un grande risparmio, anche del 52%, per le casse del sistema sanitario regionale.
Tutto questo attraverso un unico acquisto dei medicinali cosiddetti Pht (farmaco ospedale territorio) da parte della Asl 1 di Sassari. Con i prodotti redistribuiti poi nelle circa 580 farmacie dell'isola.
L'iniziativa è stata presentata questa mattina dall'assessore regionale alla Sanità, Luigi Arru, e dal presidente di Federfarma Sardegna, Giorgio Congiu. La svolta riguarda quei farmaci che venivano somministrati in ospedale. Ma che poi dovevano essere assunti dai pazienti dopo le dimissioni. "Il nostro obiettivo - ha spiegato Arru - è quello di contenere i costi mantenendo una qualità elevata del servizio. Questa è la strada che vogliamo percorrere". Lo stesso assessore ha annunciato che, grazie alla tessere sanitaria, ci sarà la possibilità di usufruire di nuovi servizi, come ad esempio il cambio del medico, che prima richiedevano file e lungaggini burocratiche alla Asl. "Con questo accordo raggiungiamo tre obiettivi strategici cioè semplificare, includere nuovi farmaci e ridurre la spesa complessiva. Non solo: nelle prossime settimane attiveremo i cip delle tessere sanitarie in modo che ognuno potrà per esempio scegliere il medico senza fare file o doversi spostare, e un importante tassello sarà la ricetta dematerializzata che sostituirà completamente quella rossa cartacea".
Altro importante vantaggio della collaborazione è il contenimento della spesa sanitaria, anche alla luce del quadro normativo nazionale di settore e delle disposizioni di Spending rewiew che hanno fissato un tetto di spesa a carico del Ssn per l'assistenza farmaceutica territoriale fissandolo all' 11,35% del Fondo Sanitario Nazionale (FSN). "Il potenziamento della DPC ha abbattuto la spesa in Sardegna di 17 milioni di euro nel 2013 e di 10 milioni nel primo semestre 2014, assicurando allo stesso tempo un servizio capillare a beneficio del cittadino", ha sottolineato il presidente di Federfarma Congiu. 

sabato 17 gennaio 2015

Gli effetti benefici del caffè

Un uso ponderato non può che far bene: ecco i cinque motivi per cui non dovete rinunciare a svegliarvi con una tazzina fumante
07:00 - Svegliarsi la mattina senza il caffè è un’impresa impossibile per la maggior parte degli italiani. Che sia espresso, macchiato o americano, ne abbiamo bisogno per portare a termine la giornata lavorativa. Il caffè, però, è molto più di una sveglia liquida. Non solo, infatti, il caffè contiene, al di là della caffeina, moltissime sostanze nutritive e antiossidanti (vitamina B2, manganese, magnesio, ecc.), ma la caffeina può essere un vero toccasana.

A parte gli effetti immediatamente percepibili, come l'aumento della concentrazione e delle prestazioni fisiche, il caffè nasconde qualità che vanno dalla prevenzione del diabete, delle patologie degenerative, alla protezione del fegato. Vediamole tutte nel dettaglio: 

1) Il caffè aumenta le prestazioni mentali e fisiche L'effetto principale della caffeina è di bloccare un neurotrasmettitore inibitore chiamato Adenosina, inducendo così una vera e propria esplosione dei processi mentali attraverso il rilascio di Dopammina e di Noradrenalina, il neurotrasmettitore dell'Adrenalina. In questo modo la caffeina migliora i tempi di reazione, la memoria e, in generale, le funzioni cognitive. Parallelamente, essendo uno stimolante, la caffeina accelera il metabolismo e ottimizza lo smaltimento dei grassi acidi, migliorando le prestazioni fisiche fino al 12%. 

2) Il caffè diminuisce i rischi di diabete, Parkinson e Alzheimer Recenti studi hanno dimostrato che il caffè riduce il rischio di diabete di tipo 2 dal 23% fino al 67%. Il risultato di 18 studi per un totale di circa 460.000 partecipanti suggerisce che ogni tazza quotidiana di caffè diminuisca il rischio di diabete del 7%. Non solo, moltissimi studi dimostrerebbero che il caffè riduce il rischio delle malattie degenerative più diffuse al mondo, dal 30% fino al 60%. 

3) Il caffè fa bene al fegato Recenti studi dimostrano che il caffè aiuta il fegato a metabolizzare alcol e fruttosio, diminuendo il rischio di cirrosi dell'80% e quello di tumore del 60%. Il consiglio è di bere almeno quattro tazzine al giorno. 

4) Il caffè non è solo caffeina Una tazza di caffé non contiene solo caffeina ma anche vitamine e minerali. Vitamina B1, B2, B3 e B5, Potassio, Manganese e Magnesio sono presenti in piccole quantità nel caffé ma, con un numero sufficiente di tazze al giorno, la quantità di queste sostanze può raggiungere tranquillamente il fabbisogno giornaliero. 

5) Il caffè diminuisce la ritenzione idrica Il suo contributo più interessante (e forse anche il più vanesio) è quello dato alla lotta contro la cellulite. Innalzando il metabolismo basale, infatti, stimola l’organismo a eliminare le cellule adipose. Formazioni tra cui si creano i depositi di liquidi che causano gli inestetismi e la cosiddetta “buccia d’arancia”


mercoledì 14 gennaio 2015

Diabete e Alzheimer: le scoperte top del 2014


Ogni anno sono centinaia di migliaia gli articoli scientifici che vengono pubblicati su riviste di settore. La stragrande maggioranza passa inosservata ai non addetti ai lavori, solo una minima parte riesce a fare notizia. Quali sono state allora quelle di quest’anno meritevoli d’attenzione? Secondo la rivistaScience, che ogni anno pubblica la top-ten delle principali scoperte, il 2014 scientifico verrà ricordato principalmente per gli studi sull’invecchiamento e sulla creazione di cellule in grado di produrre insulina.  

ALZHEIMER: ringiovanire con le trasfusioni
Secondo le ultime stime dell’Organizzazione Mondiale della Sanità nel 2050 le persone colpite da Alzheimer saranno più di 107 milioni. Un numero impressionante che inciderà in maniera notevole sui conti dei sistemi sanitari nazionali. Il morbo, la devastante malattia neurodegenerativa osservata per la prima volta nel 1906 dal medico tedesco Alois Alzheimer, si caratterizza per il progressivo decadimento delle funzioni cognitive. Da tempo gli scienziati sono alla ricerca di strategie per bloccare questo processo. Una potrebbe essere la trasfusione di sangue. Secondo Lee Rubin e Amy Wagers, dell’Harvard Stem Cell Institute, il sangue potrebbe ringiovanire gli anziani: i ricercatori hanno dimostrato che il sangue di topi giovani - o anche solo un fattore del sangue noto come GDF11 - può ringiovanire i muscoli e il cervello di topi anziani. I risultati hanno portato a uno studio clinico in cui i pazienti di Alzheimer stanno ricevendo plasma da donatori giovani.

DIABETE: ricostruire il pancreas
Il diabete giovanile –noto anche con il nome di diabete insulino-dipendente o ditipo 1- è una patologia che colpisce prevalentemente i giovani. L'OMS stima che a soffrirne sarebbe circa il 3% della popolazione mondiale. A differenza del diabete di tipo 2, di gran lunga più diffuso e associato a scorretti stili di vita, quello giovanile appartiene alla categorie delle malattie autoimmuni. Le persone che ne soffrono subiscono la progressiva distruzione, ad opera del proprio sistema immunitario, delle cellule beta del pancreas che producono l’insulina. 

Ecco perché i malati sono costretti, per tutta la vita, a iniezioni di questo ormone per abbassare i livelli di glucosio nel sangue. Una delle possibili strategie alternative alla sua consiste nella ricostruzione del tessuto danneggiato.Quest’anno due gruppi di ricerca hanno ideato dei metodi per produrre in laboratorio cellule molto simili a quelle danneggiate in grado di produrre insulina. Una prospettiva che secondo Science darà ai ricercatori un'opportunità senza precedenti per studiare il diabete.

  

sabato 10 gennaio 2015

Contro glicemia e diabete: tacchino e uno yogurt al giorno



Buone Feste e buon appetito. È evidente che la trasgressione alimentare è di casa durante le vacanze natalizie. Ma è buona usanza non dimenticare mai che ciò che mangiamo è fondamentale per prevenire molte patologie. A ciò che sapevamo fino a oggi vanno aggiunte due nuove prove. La prima: sotto i riflettori sono i benefici de lconsumo quotidiano di yogurt, che secondo i ricercatori dell'Harvard school of public health sarebbe associato a una riduzione del rischio di diabete di tipo 2 pari al 18 per cento.Lo studio, pubblicato su Bmc medicine, ha analizzato i dati di 200mila persone e 3 diversi studi. All'inizio di ciascuno studio i partecipanti hanno dovuto compilare questionari sulle loro abitudini alimentari e sulle malattie croniche di cui soffrivano. Queste informazioni sono state aggiornate ogni due anni. E hanno portato al risultato che basta uno yogurt al giorno per ridurre del 18 per cento il rischio di diabete di tipo 2.

La seconda prova è il tacchino, una carne facilmente digeribile ma allo stesso tempo dall'alto potere saziante adatta all'alimentazione di bambini e anziani e perfetta all'interno di diete ristrette. Bastano 100 grammi di tacchino (cotto senza pelle: cucinare e consumare il tacchino con la pelle accresce il contenuto di colesterolo e trigliceridi) per introdurre nel nostro organismo circa 120 calorie, 1,2 grammi di grassi, 0 grammi di carboidrati (0 grammi di zucchero e 0 grammi di fibre) e 24 grammi di proteine (oltre alla vitamine B-6 e B-12, alla niacina, alla colina, al selenio e allo zinco).I cibi ad alto contenuto di proteine come il tacchino mantengono la massa muscolare magra e facilitano la stabilità dei livelli della glicemia dopo i pasti. Inoltre favoriscono la sazietà, riducendo il rischio di esagerare a tavola e di ricorrere a spuntini fuori pasto poco sani. Il selenio contenuto nel tacchino, inoltre, secondo diversi studi sarebbe in grado di proteggere l'organismo dallo sviluppo di alcuni tipi di neoplasie, tra cui quella al colon-retto, alla prostata, al polmone, alla vescica, alla pelle, all'esofago e allo stomaco. Attenzione, però. Il tacchino va cotto, oltre che senza pelle, anche con poco olio (meglio ancora se al vapore o bollita) conserva tutte le tipiche caratteristiche nutrizionali di magrezza che la contraddistinguono.

mercoledì 7 gennaio 2015

Tutti i dolcificanti per diabetici

Quali sono i dolcificanti permessi ai diabetici? Meglio scegliere quelli naturali oppure quelliartificiali?
 E’ bene ricordare, anzitutto, che ad un soggetto affetto da diabete di tipo 2 si sconsiglia in generale l’assunzione di dolci e altri preparati che contengono zuccheri. 
Insomma, meno dolci si assumono meglio è per la salute del paziente. Tuttavia, alcuni dolcificanti, dopo diverse ricerche, si sono rivelati consigliati ai diabetici. Questi edulcoranti sono sia naturali che artificiali e sono raccomandati a causa del loro particolare indice glicemico.
Tra i dolcificanti naturali per diabetici, il sorbitolo.
 E’ uno zucchero che ha un potere dolcificante di circa la metà del saccarosio, ma ha un apporto calorico maggiore. Questo dolcificante non innalza la glicemia perché, una volta entrato nell’intestino, viene convertito in fruttosio. 
Se ne sconsiglia l’uso eccessivo, però, a causa del suo effetto lassativo. Inoltre non è raccomandato a chi segue una dieta dimagrante, proprio a causa dell’elevato potere calorico.

Stevia
Anche la stevia è un dolcificante consigliato ai diabetici. Si tratta di una sostanza di derivazione naturale che ha un elevato potere dolcificante (molto maggiore dello zucchero), ma non ha effetti sui livelli di glicemia. Proprio per questo è consigliabile ai diabetici. Inoltre apporta zero calorie!

Aspartame
Tra i dolcificanti artificiali permessi ai diabetici, invece, anche l’aspartame, che non ha alcun effetto metabolico sulla glicemia. Si tratta di un dolcificante sintetico con un potere dolcificante 200 volte maggiore dello zucchero. Questo edulcorante si consiglia anche a chi segue una dieta dimagrante perché anche le calorie apportate, rispetto alla quantità assunta, sono irrisorie. Comunque, si consiglia di non eccedere rispetto alle dosi giornaliere raccomandate; in particolare i 40 mg/kg di peso corporeo. L’unico effetto collaterale riguarda la gravidanza e l’allattamento. Studi recenti, infatti, hanno dimostrato che è meglio evitare l’assunzione di aspartame in questi casi.

Ciclamato
Anche il ciclamato è un dolcificante artificiale che può essere assunto dai diabetici. Questo edulcorante ha un potere dolcificante 30 volte maggiore dello zucchero e apporta zero calorie. Per questo, lo si consiglia anche a chi segue una dieta dimagrante. Si raccomanda, comunque, di non eccedere il dosaggio di sicurezza, di circa 11 milligrammi per kg di peso corporeo al giorno. Infine, come l’aspartame, anche questo dolcificante è sconsigliato in gravidanza e allattamento.

Sucralosio
Infine, il sucralosio. Questo dolcificante artificiale si ottiene modificando la struttura del saccarosio. Può essere utilizzato dai diabetici perché, non potendo essere assorbito, è eliminato completamente dall’organismo e non modifica la glicemia.




sabato 3 gennaio 2015

Contro il diabete puntare sulla dieta vegetariana



Milioni di persone affette da diabete dovrebbero seguire una dieta vegetariana per contribuire a invertire la condizione critica. Almeno secondo alcuni esperti americani. Una dieta sana, a base vegetale può migliorare significativamente i livelli di zucchero nel sangue e anche liberare potenzialmente i pazienti dalla malattia. Un'analisi di studi precedenti rileva Giovanni D'Agata presidente dello “Sportello dei Diritti” ha dimostrato che una dieta vegetariana ha avuto benefici significativi nel trattamento del diabete di tipo 2 e migliorato la sensibilità all'insulina. I ricercatori hanno trovato che una dieta vegetale ha ridotto i livelli di una proteina chiave del sangue. Per le persone con diabete, questa è importante quanto più alta è, maggiore è il rischio di sviluppare ulteriori complicazioni. L'autore dello studio il dottor Neal Barnard, dalla George Washington University School of Medicine negli Stati Uniti, ha detto: "nessun farmaco per diabetici offre questo tipo di soluzione". Una dieta a base vegetale consente un'illimitata serie di deliziose ricette da provare.

"Una semplice prescrizione potrebbe aiutare ad invertire il diabete, migliorare la glicemia e ridurre il peso, la pressione sanguigna ed il colesterolo. E tutto questo è possibile, come dice la nostra analisi, non con una nuova pillola magica, ma con semplici modifiche della dieta. "Il diabete è la principale causa di cecità nelle persone in età lavorativa e una causa importante di amputazione degli arti inferiori, insufficienza renale e ictus. Per esempio, nella sola Gran Bretagna, ci sono 3 milioni persone affette da diabete e 850.000 altre che non sono a conoscenza che hanno il tipo 2, che non gli è stato diagnosticato. Un team di ricercatori di Stati Uniti e Giappone, scrivendo sulla rivista "Cardiovascular Diagnosis and Therapy" ha pubblicato il nuovo studio dimostrando che una dieta a base vegetale migliora notevolmente la gestione del diabete. Il dottor Barnard ha anche sostenuto che: "diete vegetariane (comprese quelle vegane) hanno benefici per la salute cardiovascolare, ipertensione, peso corporeo e lipidi del plasma e forniscono anche vantaggi nutrizionali rispetto a diete onnivore. "Una dieta vegetariana ha anche un più basso contenuto di calorie, favorendo la perdita di peso, e superiore in fibre, rallentando il tasso al quale il glucosio viene assorbito nel flusso sanguigno.I ricercatori ha espresso la necessità di ulteriori studi, ma ha concluso che una dieta vegetariana potrebbe essere usata come una "alternativa del trattamento per il diabete di tipo 2".Dottor Barnard ha detto: "combinando i risultati di sei studi precedenti, abbiamo trovato che una dieta a base vegetale aumenta il controllo della glicemia notevolmente.

"Alcuni si chiedono se i pazienti si attaccano ad una dieta a base vegetale. A differenza delle convenzionali 'diete diabete', le diete vegane non necessitano di contare le calorie o limitare i carboidrati. "Non c'è nessun controllo delle porzioni o le routine di esercizio intenso. Diciamo che i pazienti possono mangiare tanto quanto desiderano –come molta pasta integrale, cereali integrali e riso integrale come vogliono – fino a quando non stanno mangiando prodotti di origine animale o di un sacco di oli aggiunti. La dieta è semplice e chiara, ed è più facile che mai da seguire. "Inoltre, sono tutti buoni gli 'effetti collaterali'. Scende il peso, migliora la pressione sanguigna ed il colesterolo. Meglio di tutte, per il basso contenuto di grassi, le diete vegane forniscono libertà dalle noiose routine di assunzione di farmaci e d'iniezione di insulina. "Con una dieta a base vegetale, potremmo aiutare ad affrontare la malattia una volta per tutte."