Un progetto
ambizioso, che dovrebbe portare a un approccio sempre più integrato
alla malattia, con lo scopo di disegnare le terapie sempre più «su misura»
di Luigi Ripamonti shadow
Un adagio molto popolare fra i diabetologi recita: «non è
il diabetico che costa, ma il diabetico con complicanze». È vero: un diabetico
ben controllato costa al Servizio sanitario nazionale più o meno come una
persona che il diabete non ce l’ha. E proprio perché i diabetici fossero ben
controllati è stato emanato circa un anno fa il Piano Nazionale sulla Malattia
Diabetica. Un progetto ambizioso, che dovrebbe portare a un approccio sempre
più integrato alla malattia, con lo scopo di disegnare le terapie sempre più
«su misura» rispetto alle esigenze dei singoli pazienti, terapie che possono
essere anche sensibilmente diverse. Una cura personalizzata avrebbe il
vantaggio di essere più efficace, meglio seguita e meglio tollerata, il che
comporterebbe anche un vantaggio economico per l’intero sistema.
Ottime premesse e saggi obiettivi. Ma in quale
misura il progetto è stato attuato? Dopo un anno la risposta è,
come al solito nel nostro Paese: qui un pò di più, là un po’ meno. Insomma,
siamo alla solita copertura “a macchia di leopardo”. Con una variante
sorprendente: stavolta alcune delle Regioni in genere «virtuose» risultano a
prima vista più in ritardo di altre che di solito si guadagnano voti bassi
nella pagella dell’efficienza. Salvo scoprire che, in realtà, alcune di queste,
sulla carta prontissime a rispondere «sissignore», hanno invece provveduto
magari a girare fondi destinabili al Piano sul diabete ad Asl con i conti in
profondo rosso, tagliando aiuti già in essere per i diabetici.
Non che il Piano per il Diabete sia di facile
attuazione. La distribuzione dei ruoli e delle responsabilità fra
specialisti, medici di medicina generale, ospedali, servizi territoriali, è
oggetto di discussioni anche molto vivaci e ci vorrà del tempo per trovare la
quadratura del cerchio. Resta il fatto che una governance efficace del diabete
è una priorità, non solo in Italia ma in tutto il mondo occidentale, perché i
numeri della malattia sono in crescita costante, e l’impatto economico importantissimo,
specie in uno Stato con sistema sanitario solidaristico universale come il
nostro è (e vorremmo restasse). E, con un apparente paradosso, l’unica
strategia possibile per sopportare l’urto dei costi è metterli in secondo piano
rispetto all’attenzione alla salute del paziente. Perché una buona medicina, lo
dimostrano decine di studi economici, costa molto meno di una medicina non
buona, che è quasi sempre una medicina che spreca risorse.
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