sabato 7 febbraio 2015

L’obesità porta anche al diabete .Uno studio italiano spiega come


Arriva da uno studio italiano, frutto della ricerca della Società Italiana di Diabetologia appena pubblicato su Diabetes Care, un altro tassello di conoscenza che consente di spiegare la relazione tra l’incremento dell’obesità e quello del diabete autoimmune: secondo i ricercatori l’obesità contribuisce ad uccidere le cellule del pancreas, attraverso una reazione autoimmune, cioè attraverso la produzione di auto-anticorpi che distruggono lentamente le cellule beta, produttrici di insulina. Il NIRAD è una forma particolare di diabete che si colloca a metà strada tra i due pilastri classici della classificazione: il tipo 1 che compare nei giovani ed è causato dalla distruzione autoimmune delle cellule pancreatiche (in Italia interessa circa 200 mila persone) e il tipo 2, dovuto invece ad una resistenza dei tessuti periferici ai ‘comandi’ impartiti loro dall’insulina e al progressivo esaurimento della funzione del pancreas; quest’ultimo, il più frequente (in Italia interessa oltre 3,7 milioni di persone) si accompagna molto spesso a sovrappeso e obesità. Il diabete di tipo 1 si tratta subito con l’insulina; il tipo 2 si tratta con farmaci anche per molti anni (farmaci che aumentano la sensibilità dei tessuti all’insulina e altri che stimolano il pancreas a produrre più insulina), per poi arrivare gradualmente alla terapia con insulina. I paziente che sono affetti da diabete NIRAD sono apparentemente indistinguibili dai classici pazienti di tipo 2 (adulti, che presentano resistenza insulinica, sono in sovrappeso o obesi) ma nel loro sangue sono presenti autoanticorpi diretti contro le cellule pancreatiche, che li rendono simili ai pazienti di tipo 1; i pazienti NIRAD tuttavia possono essere trattati con i farmaci in compresse per molti anni e arrivano al trattamento con insulina molto più lentamente dei ‘tipici’ soggetti con diabete di tipo 1.
Lo studio italiano. Uno studio condotto da un gruppo di ricercatori dell’Università ‘Sapienza’ di Roma coordinato dalla professoressaRaffaella Buzzetti e finanziato da ‘Diabete ricerca’ onlus – la fondazione della Società Italiana di Diabetologia dedicata a supportare studi scientifici – ha valutato l’esistenza di una possibile correlazione tra la frequenza di comparsa e la tipologia di autoanticorpi (gli stessi presenti nei soggetti con diabete di tipo 1), espressi nel sangue dei pazienti con diabete di tipo NIRAD e la loro massa corporea. Sono stati studiati 1850 pazienti affetti da diabete di tipo 2 appartenenti alla coorte del progetto NIRAD che sono stati suddivisi, a seconda dell’indice di massa corporea (parametro che si calcola moltiplicando il peso in chili, per il quadrato dell’altezza in metri: Kg/m2) in tre gruppi: normopeso (<25), sovrappeso (da ≥25 a <30) e obesi (≥30 kg/m2). In tutti è stata ricercata la presenza di anticorpi diretti contro le cellule beta del pancreas produttrici di insulina. Il 6,5% del totale delle persone studiate (120 soggetti) sono risultate portatrici di almeno un tipo di anticorpo diretto contro le cellule beta pancreatiche. Ma gli unici autoanticorpi che aumentano in maniera proporzionale all’aumentare della massa corporea nei pazienti con diabete di tipo 2, sono risultati quelli tipo IA-2(256-760). I pazienti obesi, con diabete di tipo 2, portatori di questo particolare tipo di autoanticorpo, presentavano anche una più ampia circonferenza del punto vita, più elevati valori di acido urico e di colesterolo totale e mostravano una più lenta progressione verso il trattamento con insulina rispetto ai soggetti che presentano anticorpi anti-GAD. Nessuno dei pazienti con diabete di tipo 2 obesi, portatori di questi autoanticorpi è infatti arrivato al trattamento con insulina, durante i 7 anni di follow up, rispetto al 60% di quelli portatori di altri autoanticorpi. E’ come se gli anticorpi IA-2(256-760) fossero insomma ‘spuntati’, meno aggressivi degli altri verso le isole pancreatiche.
L’opinione degli esperti. Una possibile spiegazione potrebbe essere che lo scatenamento di questo ‘fuoco amico’ sia secondario al processo infiammatorio cronico, alla base del danno alle cellule beta, che si verifica nei pazienti di tipo 2 obesi. L’obesità viscerale rappresenta infatti uno dei principali fattori di rischio per il diabete di tipo 2, perché provoca uno stato di infiammazione cronica che contribuisce a determinare sia l’insulino-resistenza che la graduale distruzione delle cellule beta pancreatiche. “Questo studio – afferma la professoressa Buzzetti – offre spunti rilevanti in quanto suggerisce che l’obesità è in grado di favorire lo stato infiammatorio alla base di molte malattie autoimmuni”. Gli autori ritengono dunque che gli anticorpi IA-2(256-760) rappresentino un marcatore di un tipo particolare di diabete, che potrebbe avere un meccanismo di origine diverso dal diabete di tipo 2 ‘classico’. E’ noto da tempo che le persone obese sono più suscettibili alle malattie autoimmuni. L’obesità rappresenta infatti una condizione pro-infiammatoria, caratterizzata da un eccesso di un tipo particolare di globuli bianchi, i linfociti Th17, gli stessi che si trovano attivati ed ‘esuberanti’ in diverse malattie autoimmuni, dall’artrite reumatoide alla sclerosi multipla, alla psoriasi, al diabete di tipo 1. Queste cellule sono per loro natura molto ‘instabili’ e possono trasformarsi facilmente in linfociti Th1 e Th2, responsabili di tante malattie dovute ad un ‘attacco’ autoimmune. Lo studio pubblicato su Diabetes Care è stato realizzato con il supporto della ‘Fondazione Diabete e Ricerca’ onlus della Società Italiana di Diabetologia e finanziato con un grant non condizionato della Novo Nordisk Italia. "I risultati di questo studio – afferma il presidente della SID professor Enzo Bonora – sottolineano ancora una volta da un lato la complessità del diabete e dall'altra la grande qualità della ricerca diabetologica italiana e il ruolo chiave che in questo tipo di ricerca svolge la Società Italiana di Diabetologia".



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