Arriva da uno studio italiano, frutto della
ricerca della Società Italiana di Diabetologia appena pubblicato su Diabetes
Care, un altro tassello di conoscenza che consente di spiegare la relazione tra
l’incremento dell’obesità e quello del diabete autoimmune: secondo i
ricercatori l’obesità contribuisce ad uccidere le cellule del pancreas,
attraverso una reazione autoimmune, cioè attraverso la produzione di
auto-anticorpi che distruggono lentamente le cellule beta, produttrici di
insulina. Il NIRAD è una forma particolare di diabete che si colloca a metà
strada tra i due pilastri classici della classificazione: il tipo 1 che compare
nei giovani ed è causato dalla distruzione autoimmune delle cellule
pancreatiche (in Italia interessa circa 200 mila persone) e il tipo 2, dovuto
invece ad una resistenza dei tessuti periferici ai ‘comandi’ impartiti loro
dall’insulina e al progressivo esaurimento della funzione del pancreas;
quest’ultimo, il più frequente (in Italia interessa oltre 3,7 milioni di
persone) si accompagna molto spesso a sovrappeso e obesità. Il diabete di tipo
1 si tratta subito con l’insulina; il tipo 2 si tratta con farmaci anche per
molti anni (farmaci che aumentano la sensibilità dei tessuti all’insulina e
altri che stimolano il pancreas a produrre più insulina), per poi arrivare
gradualmente alla terapia con insulina. I paziente che sono affetti da diabete
NIRAD sono apparentemente indistinguibili dai classici pazienti di tipo 2
(adulti, che presentano resistenza insulinica, sono in sovrappeso o obesi) ma
nel loro sangue sono presenti autoanticorpi diretti contro le cellule
pancreatiche, che li rendono simili ai pazienti di tipo 1; i pazienti NIRAD
tuttavia possono essere trattati con i farmaci in compresse per molti anni e
arrivano al trattamento con insulina molto più lentamente dei ‘tipici’ soggetti
con diabete di tipo 1.
Lo
studio italiano. Uno studio condotto da un gruppo di ricercatori
dell’Università ‘Sapienza’ di Roma coordinato dalla professoressaRaffaella Buzzetti e finanziato da ‘Diabete ricerca’ onlus – la
fondazione della Società Italiana di Diabetologia dedicata a supportare studi
scientifici – ha valutato l’esistenza di una possibile correlazione tra la
frequenza di comparsa e la tipologia di autoanticorpi (gli stessi presenti nei
soggetti con diabete di tipo 1), espressi nel sangue dei pazienti con diabete
di tipo NIRAD e la loro massa corporea. Sono stati studiati 1850 pazienti
affetti da diabete di tipo 2 appartenenti alla coorte del progetto NIRAD che
sono stati suddivisi, a seconda dell’indice di massa corporea (parametro che si
calcola moltiplicando il peso in chili, per il quadrato dell’altezza in metri:
Kg/m2) in tre gruppi: normopeso (<25), sovrappeso (da ≥25 a <30) e obesi
(≥30 kg/m2). In tutti è stata ricercata la presenza di anticorpi diretti contro
le cellule beta del pancreas produttrici di insulina. Il 6,5% del totale delle
persone studiate (120 soggetti) sono risultate portatrici di almeno un tipo di
anticorpo diretto contro le cellule beta pancreatiche. Ma gli unici autoanticorpi
che aumentano in maniera proporzionale all’aumentare della massa corporea nei
pazienti con diabete di tipo 2, sono risultati quelli tipo IA-2(256-760). I
pazienti obesi, con diabete di tipo 2, portatori di questo particolare tipo di
autoanticorpo, presentavano anche una più ampia circonferenza del punto vita,
più elevati valori di acido urico e di colesterolo totale e mostravano una più
lenta progressione verso il trattamento con insulina rispetto ai soggetti che
presentano anticorpi anti-GAD. Nessuno dei pazienti con diabete di tipo 2
obesi, portatori di questi autoanticorpi è infatti arrivato al trattamento con
insulina, durante i 7 anni di follow up, rispetto al 60% di quelli portatori di
altri autoanticorpi. E’ come se gli anticorpi IA-2(256-760) fossero insomma
‘spuntati’, meno aggressivi degli altri verso le isole pancreatiche.
L’opinione
degli esperti. Una possibile spiegazione potrebbe essere che lo scatenamento
di questo ‘fuoco amico’ sia secondario al processo infiammatorio cronico, alla
base del danno alle cellule beta, che si verifica nei pazienti di tipo 2 obesi.
L’obesità viscerale rappresenta infatti uno dei principali fattori di rischio
per il diabete di tipo 2, perché provoca uno stato di infiammazione cronica che
contribuisce a determinare sia l’insulino-resistenza che la graduale
distruzione delle cellule beta pancreatiche. “Questo studio – afferma la
professoressa Buzzetti – offre spunti rilevanti in quanto suggerisce che
l’obesità è in grado di favorire lo stato infiammatorio alla base di molte
malattie autoimmuni”. Gli autori ritengono dunque che gli anticorpi
IA-2(256-760) rappresentino un marcatore di un tipo particolare di diabete, che
potrebbe avere un meccanismo di origine diverso dal diabete di tipo 2
‘classico’. E’ noto da tempo che le persone obese sono più suscettibili alle
malattie autoimmuni. L’obesità rappresenta infatti una condizione
pro-infiammatoria, caratterizzata da un eccesso di un tipo particolare di
globuli bianchi, i linfociti Th17, gli stessi che si trovano attivati ed
‘esuberanti’ in diverse malattie autoimmuni, dall’artrite reumatoide alla
sclerosi multipla, alla psoriasi, al diabete di tipo 1. Queste cellule sono per
loro natura molto ‘instabili’ e possono trasformarsi facilmente in linfociti
Th1 e Th2, responsabili di tante malattie dovute ad un ‘attacco’ autoimmune. Lo
studio pubblicato su Diabetes Care è stato realizzato con il supporto della
‘Fondazione Diabete e Ricerca’ onlus della Società Italiana di Diabetologia e
finanziato con un grant non condizionato della Novo Nordisk Italia. "I
risultati di questo studio – afferma il presidente della SID professor Enzo Bonora – sottolineano ancora una volta da un lato la
complessità del diabete e dall'altra la grande qualità della ricerca
diabetologica italiana e il ruolo chiave che in questo tipo di ricerca svolge
la Società Italiana di Diabetologia".
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