Un disturbo alimentare diagnosticato
per la prima volta nel 2009, che in America coinvolge il 40% delle giovani
donne affette da diabete di tipo 1 e si sta diffondendo in Italia
Katherine Marple è una scrittrice
americana. Quando aveva 14 anni le fu diagnosticato il diabete di tipo 1: una malattia cronica,
autoimmune, che la obbligava a iniettarsi periodicamente dosi di insulina. Lei
però non voleva, perché l’insulina la faceva ingrassare. Così svuotava le
siringhe nei cuscini del divano e, quando non poteva trattenersi dall’abbuffarsi
di gelato o biscotti, si procurava il vomito. Per essere sempre più magra, certo, ma anche perché controllare il suo peso le dava l’illusione di
tenere le redini di una parte della sua vita che in realtà le era sfuggita,
proprio a causa della malattia.
Katherine Marple è solo una delle
migliaia di persone al mondo affette da diabulimia. Un disturbo
alimentare che nasce dalla difficoltà di convivere con il diabete di tipo 1, in
genere diagnosticato prima dei 20 anni, e che cresce con il senso di inadeguatezza
che l’adolescenza si porta inevitabilmente dietro. Secondo la Diabulimia Helpline,
I primi a lanciare l’allarme sono
stati nel 2009 i medici britannici, che
hanno notato come un certo numero di pazienti diabetici non assumeva
correttamente le dosi di insulina prescritte.
Alla base del disturbo alimentare
c’è proprio il ruolo dell’insulina nell’assorbimento
degli zuccheri. La diagnosi di diabete, che comunque si porta dietro la
necessità di iniziare un regime alimentare controllato, è associata alla
prescrizione di un certo quantitativo di insulina in base al peso corporeo.
Questo ormone aiuta l’organismo ad assimilare correttamente il glucosio contenuto
negli alimenti: nei pazienti diabetici, solitamente molto magri a
causa della disfunzione, ciò si traduce generalmente in un aumento di peso.
Di qui la rinuncia volontaria alle
dosi di insulina per continuare a dimagrire. Un comportamento sbagliato del
quale i medici, fino a pochi anni fa, raramente si accorgevano se non per i
risultati:problemi al fegato, ai reni,
alla vista fino al decesso. Anche perché la malattia non si
esaurisce con la ridotta o mancata assunzione di insulina, ma spesso si combina
con altri disturbi del comportamento alimentare: dalle abbuffate alle privazioni prolungate di cibo, al vomito indotto,
fino a manie ossessivo-compulsive. Da
qui il termine diabulimia, crasi tra le parolediabete e bulimia.
Dalla diabulimia si guarisce? Sì, con il supporto di medici,
nutrizionisti, familiari e di strutture adeguate. In Italia il Ministero della
Salute, la Presidenza del Consiglio e la Regione Umbria hanno realizzato una mappatura dei centri che si occupano di disturbi del
comportamento alimentare. A Milano il Polo Universitario dell’Ospedale “Luigi Sacco” offre ai ragazzi affetti da
diabete di tipo 1 e alle loro famiglie un supporto terapeutico basato anche sul parental training, mentre a dicembre all’Università Tor Vergata di Roma è stata presentata la prima
tesi di Laurea italiana sulla diabulimia, a firma di Francesca Ionta per la
cattedra di Neurofisiopatologia del Professor Nicola Mercuri. Il primo passo,
dicono gli esperti ma soprattutto i pazienti che sono guariti, è imparare a
prendersi cura di se stessi.
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